Chiusa l’inchiesta su Roberto Spada, l‘ex pugile arrestato dopo l’aggressione al giornalista e al cameraman del programma “Nemo”. La procura di Roma ha firmato il 415bis, atto che di norma prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Spada è accusato di lesioni aggravate dall’utilizzo del metodo mafioso e dai futili motivi insieme a Ruben Nelson Alvez Del Puerto, il 29enne uruguaiano identificato in un secondo momento presente durante l’intervista. I due, è scritto nel capo di imputazione, cagionavano al giornalista Daniele Piervincenzi “lesioni personali consistite in ‘frattura puliframmentaria ossa proprie nasali’ e a Edoardo Anselmi”, il cameraman, “lesioni personali consistite in trauma cranico e facciale gambe e gomito destro”. Il tutto con l’aggravante del metodo mafioso “consistito – continuano i magistrati – nell’ostentare, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione, proprie delle organizzazioni mafiose”.
Fra l’altro, sostengono i pm titolari dell’indagine Giuseppe Musarò e Ilaria Calò, l’azione avveniva “in un luogo pubblico, davanti a numerosi testimoni”. I fatti risalgono al 7 novembre scorso quando i giornalisti di “Nemo” sono andati a Ostia per intervistare Roberto Spada. Dopo una domanda su Casapound, Spada ha sferrato una testata a Piervincenzi e subito dopo, insieme al 29enne, ha inseguito i due armato, secondo i magistrati, anche di un “manganello”. Arrestato pochi giorni dopo l’aggressione, davanti al gip Anna Maria Fattori, l’ex pugile ha spiegato di non riconoscersi nelle immagini che lo immortalano mentre dà una testata a Piervincenzi. Ha detto di esser stato provocato e ha aggiunto che il giornalista, dentro la palestra, avrebbe fatto riferimento alla “separazione del fratello in quanto maltrattava la moglie”. Insomma gli aveva chiesto se anche lui si comportava così. A questo punto – dice Spada al gip – “aveva ‘visto nero’”. Una versione che non ha convinto. Pochi giorni dopo anche il Tribunale del Riesame, al quale aveva fatto ricorso, ha confermato la misura cautelare in carcere.
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