Michela Deriu è già stata dimenticata. Si è impiccata a ventidue anni, temeva ricatti per un video che la mostrava in un incontro di sesso. Impiccata nel 2015 è finita una casalinga quarantenne, madre di due figli, per alcune sue foto sexy postate su Facebook. Ormai dimenticata è anche Tiziana Cantone, la trentunenne strangolatasi nel 2016 con un foulard. Travolta dalla gogna dopo la diffusione on line di un suo momento erotico ripreso al cellulare.

Traiettorie di morte – e ce ne sono altre – spartite dagli schermi dopo un rapido passaggio sui media. Non basta l’indignazione, non basta la rabbia, non bastano nemmeno le manifestazioni.
Serve un approccio radicale nell’educazione scolastica. E una sanzione penale rapida, certa, efficace e senza indulgenza, perché anche questo ha un valore di “educazione” per l’opinione pubblica.

La libertà sessuale è stata in Italia una grande conquista degli Anni Sessanta. Libertà per le donne in prima linea (perché nessun maschio nei millenni è mai stato ostracizzato e spinto ai margini perché faceva all’amore). E poi libertà d’espressione della propria vita sessuale anche per gli omosessuali.

E’ stato ed è un traguardo prezioso per tutti, perché tocca uno degli aspetti essenziali della personalità e di quella che possiamo chiamare la ricerca della felicità pur nella sua parzialità.
Ma questa libertà richiede un rispetto assoluto da parte di ogni membro della società. Ed è qui che si impone una svolta. Quanti ritengono profondamente ingiusto il destino delle vittime devono sapere che oltre la protesta serve un’iniziativa per radicare nella società un codice di comportamento preciso, sanzionato penalmente senza esitazioni e minimizzazioni.

Le tecnologie hanno rivoluzionato tutto. Non è più il racconto passato di bocca in bocca. Non è più la foto che, benché riprodotta, restava in una cerchia alla fine ristretta. Il sistema digitale permette la diffusione globale dell’immagine, anzi dell’atto, e il suo ingresso letteralmente in ogni casa, ogni computer, ogni cellulare. Stiamo parlando di libertà di un individuo e di morte provocata dalla vergogna, perché un momento personalissimo è stato messo a nudo violentemente di fronte a tutti. Stiamo parlando di violenza.

Ciò che deve essere spiegato nelle scuole fin da presto è che quanto riguarda la sfera più intima di una persona è di sua assoluta “proprietà”. Aggredire questa intimità, infrangere una sfera così connessa all’immagine di una persona equivale ad uno stupro dell’identità e va sanzionato con lo stesso rigore.

Per essere chiari. Nessuno ha il diritto di riprendere l’intimità sessuale di una persona. E se una coppia gioca con le immagini volontariamente, nessuno dei partner ha il diritto di diffondere autonomamente queste immagini. E quand’anche i due protagonisti del gioco decidessero di condividere l’immagine con alcuni amici, questi amici hanno il dovere di far rimanere tutto ciò nell’ambito personale riservato senza ritrasmetterlo oltre.

Si dirà che è ovvio. No, non è ovvio nella mente di una massa sterminata di ragazzi e di adulti analfabeti del rispetto. Non è ovvio per chi cinicamente – con la scusa di commettere tutt’al più una leggerezza – getta alla gogna personalità sensibili, che anche senza arrivare a togliersi la vita subiscono l’impatto tremendo di una spoliazione: uno shock. Non deve essere lasciato accadere – e senza sanzione – nessun tipo di bullismo e di violenza nella sfera della sessualità o dell’orientamento sessuale,  anche quei comportamenti che possono apparire una “ragazzata”. Non deve più accadere nemmeno che un’insegnante, dopo avere scoperto che uno scolaro aveva spinto fuori dai bagni dei maschi un coetaneo insultandolo “Non è per te! Vai in quello delle femmine” – non deve accadere che l’insegnante che punisce il colpevole con la sanzione minimale “Scrivi cento volte nel quaderno sono stupido”, venga poi pesantemente insultata dal padre del colpevole e infine condannata per abuso di autorità.

Tutto si tiene: il bullismo piccolo e la violenza psicologica a largo impatto, attuata con le tecnologie.

Merito dei Radicali negli anni Settanta fu quello di canalizzare in precise norme di legge (prima ancora dei referendum) i bisogni emersi nella società nell’ambito della sfera più personale: famiglia/divorzio, gravidanza/aborto. Dinanzi alle vittime della violenza sessuale digitale c’è bisogno nuovamente di una iniziativa costante e collettiva che porti a rivedere e rendere più stringenti le norme a protezione di questa specialissima e delicata libertà: l’intimità sessuale. Compresa l’interruzione della prescrizione dopo il rinvio a giudizio. Perché è anche accaduto che criminali responsabili di stupro, riconosciuti colpevoli nei primi gradi di giudizio, siano andati liberi dopo anni essendo scattata la prescrizione.

Michela, Tiziana e le altre donne anonime non hanno più nulla da chiedere. Però “i morti parlano” come ricordava Arthur Schnitzler. E le altre, gli altri hanno il diritto di non trovarsi mai dinanzi all’alternativa di un cappio preparato dalle loro stesse mani.

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