A un mese e mezzo di distanza da quel 19 agosto in cui lo stabile occupato di piazza Indipendenza è stato sgomberato, i rifugiati eritrei e somali che lo abitavano sono “sparpagliati per la città e senza soluzione”. “Qualcuno si è unito ad altre occupazioni in periferia. Qualcun altro sta da parenti e amici”, racconta Biniam, rifugiato eritreo diventato nel tempo uno dei portavoce della battaglia. “C’è chi ha accettato le soluzioni temporanee messe in campo dalla Sala Operativa Sociale del Comune, ovvero alloggi temporanei per quelle che il Campidoglio definisce le “fragilità”, principalmente mamme e bambini”, spiegano dai Movimenti per l’abitare.

E c’è chi, da allora, dorme per strada. “In tenda, dalle parti della stazione Tiburtina”, racconta Tsehaye, in piazza oggi a Roma per manifestare e chiedere soluzioni. Ha un solo rene, dice, “e da agosto dormo per strada insieme ad una cinquantina di altre persone del palazzo di via Curtatone”. Il bagno? “Andiamo alla Caritas. Tutte le mie cose sono ancora lì, a piazza Indipendenza, ma la polizia non ce le fa recuperare”. “Voglio solo i miei vestiti e la mia medicina per il diabete”, dice Meselesh. Ha 65 anni e assicura: “Non la voglio una casa. Prendo le mie cose e me ne torno ad Asmara”. In piazza parla anche la moglie di uno dei tre arrestati di piazza Indipendenza. “Mio marito è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Ma voleva solo salvare la sua famiglia”. È incinta di 4 mesi e ha quattro bimbi piccoli. “Ho un problema di appendice ma non posso operarmi. A chi lascio i bambini?”, dice in lacrime. “Mio marito nn c’è. I miei figli non stanno andando a scuola, non stanno facendo niente perché siamo in casa-famiglia. Poi arrivano i servizi sociali e dicono che li portano via se non vanno a scuola. Non so cosa fare”

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