Ambiente & Veleni

Cambiamenti climatici, l’Italia ha un piano ma lo tiene nel cassetto. E 4,7 miliardi di fondi Ue restano inutilizzati

La strategia di adattamento esiste dal 2014, sulla carta. Il documento che stabilisce come tradurla in azioni concrete è ancora in consultazione. E per il periodo 2014-2020 non è ancora stato finanziato nessun progetto tra quelli finanziati con i soldi messi sul piatto da Bruxelles. L'esperto: “La gestione del suolo edificato costa alla comunità molto più di quanto ricava dagli oneri di urbanizzazione”

L’Italia è tra i Paesi europei più colpiti dai cambiamenti climatici. La strategia per adattarsi a questi sconvolgimenti, sulla carta, esiste dal 2014. Ma è rimasta nei cassetti del ministero dell’Ambiente. E il piano che dovrebbe tradurla in iniziative precise ancora non c’è: la prima stesura è in fase di consultazione e comunque prevede solo suggerimenti e non azioni stringenti. Nel frattempo, i 4,7 miliardi di fondi strutturali 2014-2020 che il nostro Paese ha destinato a questo obiettivo (2,6 miliardi europei a cui si aggiungono 2,1 miliardi di integrazione nazionale) rimangono inutilizzati. Così, sotto il fango spalato a Livorno non ci sono solo i danni che adesso si tenta di quantificare, ma anche l’inadeguatezza di tutto il Paese. Che conta l’88% dei suoi Comuni in aree a rischio idrogeologico ma non riesce a pianificare azioni per evitare che gli eventi meteorologici estremi in aumento si trasformino in disastri. O quando lo fa, come con l’iniziativa Italia sicura, poi non riesce a portare a termine molti interventi a causa di lungaggini burocratiche e scarso impegno delle Regioni nell’usare le risorse messe a disposizione dal governo. Un Paese incapace di imparare dai danni (quasi 8 miliardi di euro solo negli ultimi tre anni) e dalle morti, 145 tra il 2010 e il 2016, a cui vanno sommate anche le 9 vittime di Livorno.

Bruxelles chiede fatti per proteggere il territorio da alluvioni, frane, ondate di calore, siccità, incendi e inondazioni da quattro anni: gli stati membri devono darsi una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici e poi metterla in pratica. L’Italia ce l’ha dal 2014 ma, denuncia Legambiente, quello che “doveva essere il documento di indirizzo per le politiche di intervento per l’adattamento al clima è rimasto nei cassetti di qualche Direzione ministeriale”.  E il piano che finalmente dovrebbe renderla concreta, ora in fase di consultazione fino a metà ottobre 2017, spiega cosa servirebbe ma, ci tiene a precisare il ministero dell’Ambiente nell’introduzione, “non vuole avere alcun carattere prescrittivo”. Per il ministro Gian Luca Galletti “è uno strumento strategico irrinunciabile”, ma il punto è quali risultati sarà in grado di produrre.

“Adattamento a livello locale significa dotare le città di aree verdi che siano permeabili alle acque, rinaturalizzare le sponde dei fiumi, prevedere pianure alluvionali per proteggere i cittadini dai danni di esondazioni, costruire barriere nelle città costiere contro le inondazioni”, dice a ilfattoquotidiano.it il climatologo Sergio Castellari, che in passato ha coordinato la stesura dei documenti tecnici alla base della strategia ministeriale. “L’Italia si è mossa tardi su questo fronte. Ora mi auguro che dopo la Strategia, servita a sensibilizzare cittadini e istituzioni, il Piano non rimanga sulla carta. Bisogna indicare azioni prioritarie, stanziare risorse per realizzarle definendo una chiara tempistica e attuare contemporaneamente un sistema di monitoraggio e valutazione degli effetti di queste opere. Tutto questo richiede tempo, ma più aspettiamo e meno resiliente la nostra società sarà di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici e rimediare ai disastri costerà sempre di più che prevenirli. Non possiamo continuare a rimandare”, aggiunge Castellari, che con un gruppo di scienziati esperti di cambiamenti climatici, guidati dal professore emerito dell’università di Bologna Vincenzo Balzani, ha lanciato l’8 settembre un appello al governo per una nuova conferenza nazionale sul tema, a 10 anni dall’unica organizzata in Italia dal governo.

È, appunto, anche una questione di soldi: “Le azioni di mitigazione e le azioni di adattamento richiedono grandi risorse economiche, risorse in competizione con nuovi investimenti su infrastrutture e attività produttive”, riflette Alberto Bellini, docente dell’università di Bologna, nel suo recente libro “Ambiente clima e salute”, ma bisogna decidere da che parte stare con un’ottica di lungo periodo: “La gestione del suolo urbanizzato”, all’origine, anche a Livorno, dell’esondazione del rio Ardenza, tombato per costruirci sopra il complesso dello stadio, “costa alla comunità molto più di quanto ricava dagli oneri di urbanizzazione”. Una scarsa attenzione che si riflette anche nell’uso dei fondi strutturali europei: se infatti è vero che l’Italia è il secondo Paese in Europa per il budget dedicato all’adattamento rispetto al totale, basta guardare la banca dati europea sull’argomento per accorgersi che per il periodo 2014-2020 non è ancora stato concretamente finanziato nessun progetto in questo ambito di quelli previsti usando il denaro in arrivo da Bruxelles.

Per mettere in atto politiche e decidere come spendere i soldi, certo, sono necessarie prima di tutto informazioni. “Serve innanzitutto una mappa dettagliata del rischio idrico, meteorologico e climatico a scala locale per le aree urbane in Italia, che tenga conto anche di aspetti sociali come la distribuzione delle componenti più fragili della popolazione urbana, ad esempio i bambini, e gli anziani. In Italia nelle aree urbane abbiamo infatti una alta concentrazione di persone over 65”, spiega il climatologo. Da un’informazione migliore si può partire con le politiche  e su questa base si può rafforzare l’azione della Protezione civile nell’affrontare e gestire eventi meteorologici estremi. È necessario, ammette a ilfatto.it il direttore operativo per il coordinamento delle emergenze della Protezione civile Luigi D’Angelo, “approfondire la conoscenza del territorio, che può essere arricchita con studi sui cambiamenti climatici. Sia per la pianificazione delle risposte in caso di emergenze, sia per la gestione dei danni, infatti, è fondamentale conoscere le aree più esposte al rischio”. Anche per aspetti ad oggi meno considerati: l’Italia, per esempio, ha quasi il 70% dei comuni in zone a rischio frane, ma una rete capillare di monitoraggio su questo fronte ancora manca. A Livorno, per esempio, dove un versante della collina di Montenero è venuto giù portandosi dietro detriti che hanno contribuito a intasare i torrenti esondati, non c’erano dati che permettessero di prevedere il fenomeno in modo puntuale.

Se questo è il livello nazionale, non va meglio in ambito locale, nonostante sia Bruxelles sia l’Accordo sul clima di Parigi dicano che le città sono cruciali per l’adattamento. Al momento in Italia hanno un piano ad hoc solo poche Regioni e pochi Comuni, ma in molti casi è una questione, prima di tutto, di volontà politica. Lo dimostra il caso di Bologna, che grazie ai finanziamenti europei ha elaborato un piano che mette in fila le azioni necessarie per proteggere la città da alluvioni, frane, ondate di calore e siccità. “Stiamo lavorando per aumentare la manutenzione dell’area collinare in dissesto. In vista di situazioni di siccità sempre più frequenti, abbiamo inserito nel regolamento urbanistico misure per il risparmio idrico e stiamo lavorando con la Banca europea degli investimenti per migliorare la qualità dell’acqua dei canali circostanti, in modo che in futuro sia utilizzabile per l’agricoltura”, spiega a ilfatto.it dall’ufficio Ambiente del Comune Giovanni Fini. Nel 2016 il piano di protezione civile della città è stato aggiornato per recepire le indicazioni del documento sui cambiamenti climatici, mentre con un altro progetto europeo Bologna sta lavorando per prevedere con maggiore precisione eventi meteo localizzati e allertare in maniera rapida la popolazione. Ce ne sarà sempre più bisogno.