Da giorni ormai la cenere e il rumore degli elicotteri accompagnano la vita di chi abita alle pendici del Vesuvio. Tutto questo non ha nulla a che fare con il caldo e l’aridità. La puzza di bruciato graffia la gola, la polvere passa attraverso i vestiti, scurisce la pelle, brucia dentro, fa rabbia. Questo rimarrà insieme alla cenere: la rabbia di una popolazione a cui è stato sottratto un pezzo della propria identità culturale, della propria storia, il diritto alla bellezza e a un territorio sicuro.

A Torre del Greco le fiamme lambiscono le abitazioni, centinaia le persone evacuate. In alcuni punti della città, i mezzi dei Vigili del Fuoco non riescono ad arrivare ai roghi, così i cittadini si organizzano in squadre di solidarietà per domare le fiamme con mezzi di fortuna. Non c’è angolo da cui non siano visibili roghi e colonne di fumo: è una città assediata dalle fiamme.

“Quando qualcuno decide che può toglierti anche l’aria, significa che è finita”, mi dice Vittorio mentre ritorno con lui alla macchina. Abbiamo addosso l’odore acre dell’incendio e parliamo di quello che sta succedendo, proviamo a trovare un movente che possa spiegare lo scempio a cui assistiamo.

Non brucia solo il Vesuvio, il panorama da cartolina del golfo di Napoli è adesso più simile a quello di una regione bombardata. Da settimane la Campania è messa in ginocchio da una strategia criminale che sta agendo sui territori e contro i cittadini con violenza inaudita.

Brucia il Monte Somma, roghi tra Nola e Villa Literno, tra Caivano e Orta di Atella. Bloccato l’asse mediano tra Afragola e Acerra per i roghi nella zona dell’Ipercoop. E poi le discariche e i siti di smaltimento illegale di rifiuti. Fiamme alla ex discarica di Pianura. A Giugliano, nei pressi del centro commerciale Auchan, bruciano plastica e rifiuti. Questa la cronaca di quanto accaduto domenica 16 luglio, ma è da giorni ormai che va avanti così. La successione è impressionante. Roghi tossici all’ex piattaforma per lo smaltimento di rifiuti speciali a Bellona, a fuoco anche le ecoballe del sito di stoccaggio di Taverna del Re. E ancora roghi a Scampia, Mugnano, Ponticelli, in prossimità della discarica di Chiaiano, a Caivano, ad Afragola. All’incalcolabile danno ambientale si aggiunge il rischio per la salute dei cittadini, in un territorio che ha già pagato e continua a pagare un prezzo molto alto alle “emergenze” ambientali comandate da interessi criminali, cattiva imprenditoria e malaffare politico.

Un vero e proprio bombardamento chimico, una guerra dichiarata all’ambiente e alla salute della popolazione, una guerra dietro la quale, proprio come per ogni guerra, vanno cercati gli interessi in gioco. La regola è sempre la stessa: se non è autocombustione, basta seguire il percorso dei soldi per arrivare al mandante. Brucia tutto e ti brucia dentro. I dati sull’emissione di sostanze nocive, sugli ettari di bosco andati in fumo, sul numero degli incendi, andranno a comporre la solita fotografia statistica scattata in ritardo. Oggi occorre invece porre l’accento sul fatto che le “emergenze” hanno smesso di essere eventi naturali. In Campania l’“emergenza” è un business e dietro c’è la mano dell’uomo. Un disastro di tale portata e così diffuso su scala regionale si spiega solo all’interno di un’azione pianificata e con obiettivi precisi.

Nel Parco Nazionale del Vesuvio, le rivelazioni dei pentiti hanno indicato da tempo siti di sversamento di rifiuti tossici, come le cave Fiengo, Montone e Marsiglia, la prima interessata dagli incendi a più riprese tra giugno e luglio. E nei giorni scorsi le fiamme hanno minacciato anche Cava Sari, altra discarica al confine tra Boscoreale e Terzigno. Non è la “nuova terra dei fuochi”, come qualcuno ha detto, il Vesuvio è soltanto terra di frontiera della “guerra dei fuochi”.

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