Le parole pubblicate il 21 maggio da Diego Fusaro, nel suo ennesimo post contro la gestazione per altri (Gpa), hanno un pregio e alcuni difetti. Nell’ordine: il pregio è che sono illeggibili e noiose. Viene voglia di abbandonarne la lettura dopo la terza riga. È altamente improbabile che il lettore medio sia arrivato fino alla fine del pezzo, inficiato da un sottocodice ipertecnico e ridondante per i consueti toni apocalittici di chi si approccia a certe questioni. Farà la gioia di un qualsiasi leader da family day e rimarrà il ricordo di un fastidio lontano. Per cui, bene così.

Tra i difetti c’è la mancanza di empatia e di rispetto verso le scelte altrui. Di fronte al tema dei diritti procreativi e dell’autodeterminazione sul proprio corpo, bisognerebbe avere un maggiore riguardo. Un esempio: non credo che riuscirei mai ad abortire se fossi una donna, ma ciò non mi dà il diritto di etichettare chi accede alla 194 come “assassina” o perifrasi simili. Con le etichette “utero in affitto” e “comprare i bambini” si esegue lo stesso procedimento. Oltre a dimostrare una sostanziale ignoranza rispetto a ciò di cui si parla. Fusaro sa se Ricky Martin, contro cui si scaglia, è andato a sfruttare donne sottopagate, per accedere alla genitorialità? Sostenere che si è comprato un bambino è un’affermazione forte che allude a pratiche illecite. E laddove la Gpa è legale, nel rispetto della portatrice, non c’è nessuna compravendita, ma si tratta di libera scelta.

Un ulteriore aspetto che lascia perplessi è l’oggetto di quell’attacco del tutto gratuito: chi o cosa si attacca? Vi è una profonda incoerenza, innanzi tutto, nella contrapposizione tra facoltà procreative e diritti sociali. Se nel mondo ci sono disoccupazione e squilibri, non è certo per colpa del desiderio di un cantante molto ricco, che vuole divenire padre. Ammettiamo che sia così e che ci sia una legge che dovesse vietare a chicchessia di accedere alla Gpa. Verrebbero meno le cause di povertà e la suddivisione del mondo in zone ricche e depresse? No di certo. Legare il malessere sociale all’esistenza di una categoria di persone è una strategia che mira alla pancia del Paese – e lo sa bene gente come Marine Le Pen, in Francia – ma è assolutamente inutile a risolvere i problemi: crea solo odio sociale. È questo che vuole il nostro filosofo?

Un’altra domanda che ci si pone, legata alla questione precedente, è questa: cos’è che dà esattamente fastidio della scelta di Ricky Martin? La sua ricchezza o la sua identità? Se è la disponibilità economica del cantante, perché essa viene tirata in ballo solo in occasione della sua paternità? Una persona molto agiata farà scelte conseguenti al proprio tenore di vita: pensiamo alle scelte rispetto alla propria salute, ad esempio. Viviamo in un contesto in cui chi ha tanto può accedere a tutto. È giusto? No, se chi ha poco non può avere la stessa possibilità di curarsi. E allora non è la ricchezza il problema, ma la povertà di chi non può avere le stesse opportunità. Ed è lì che bisogna agire, per una società migliore. Non è il poter accedere, perciò, a costose tecniche procreative il problema (ammesso che Martin abbia beneficiato di una surrogacy a pagamento e non di una solidaristica). È lo squilibrio che si genera altrove.

Insomma, il problema sembra essere che a divenire padre sia un gay. Operando, tuttavia, tre ulteriori ingiustizie:

1. una contro le persone Lgbt, omosessuali maschi in primis dipinti come sfruttatori di povere donne inconsapevoli (ringraziano gli omofobi);

2. la seconda contro le donne, rappresentate come incapaci di fare libere scelte sul loro corpo (ringraziano le femministe della differenza, che insistono molto su questa narrazione);

3. la terza contro i bambini e le bambine delle famiglie arcobaleno, a cui si dice implicitamente che non dovevano mai nascere (ringrazia Erode).

Come già detto, ognuno è libero di pensare di non voler accedere a certe pratiche, ma esiste il dovere di rispettare chi fa scelte opposte alla nostra sensibilità. Forse, prima di sentenziare sulla Gpa, bisognerebbe informarsi. Consiglio due libri: Mio, tuo, suo, loro di Serena Marchi e In origine è il dono di Nicola Carone. E l’intervista di Caterina Coppola a una gestante. Per non rimanere impantanati nella palude della facile generalizzazione, che è un luogo molto lontano dalla radura dell’obiettività e della serenità di giudizio. Qualità, queste ultime, che ci aiutano ad avere uno sguardo più ampio e al di sopra di luoghi comuni e preconcetti pericolosi e offensivi.

 

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