Da tempo sentiamo parlare di “narrazione” del Mezzogiorno. Vi invito a leggere le parole che seguono, scritte per il documentario Il pianeta di acciaio, di Emilio Marsili, nel 1962: “Quando vivevano Platone e Archimede questo olivo era già nato. A morte! Dopo 2000 anni, divelto da una forza infernale. Schiantato giù nella polvere come uno stecco. […] Le bestiali macchine vogliono fare il deserto: una landa piatta senza un filo d’erba. L’hanno già fatta. Poche ore sono bastate a cancellare i millenni. […] Perché? Perché gli ulivi, il sole, le cicale significavano sonno, abbandono, rassegnazione e miseria. E ora qui invece gli uomini hanno costruito una cattedrale immensa, di metallo e di vetro, per scatenarvi dentro il mostro infuocato che si chiama acciaio. E che significa vita”.

La paradossale retorica di queste parole riserva due sorprese. La prima: si parla, come il lettore avrà ben inteso, dell’Italsider (poi divenuta Ilva) di Taranto. Che portò lavoro, certo, modernità, in un certo senso. Ma non la vita. La seconda, forse più ancora sorprendente: le parole furono scritte dal grande scrittore Dino Buzzati. Che più avanti dichiara: “Migliaia di operai vi troveranno lavoro, tranquillità e fiducia. In centinaia già vi lavorano. Venivano dai campi, dai pascoli, dalla rassegnazione. Oggi si sentono già uomini diversi. Si sentono finalmente vivi e moderni. Non hanno più un senso di vergogna e di invidia quando vedono passare le macchine e i camion targati Torino, Genova, Milano”. Di stesso segno le interviste agli “indigeni” assunti in fabbrica.

Questa lunga citazione va decisamente contestualizzata nel panorama economico e culturale dei primi anni Sessanta. Sia molto chiaro! L’Italia era nel boom economico e la fiducia nel progresso e nella crescita illimitata erano una vera religione civile, come dimostrano le stesse parole di Buzzati. Erano gli anni in cui le coste erano violentate e la speculazione edilizia italiana produceva gli sfaceli tuttora ben leggibili sul volto sfregiato delle nostre città. Non deve neanche scandalizzare che negli Anni Sessanta anche intellettuali del rango di Dino Buzzati avessero del territorio e della gente del Sud un’idea così influenzata dalle consuetudini di pensiero di stampo – potremmo forzatamente dire – lombrosiano. Quel che forse dovrebbe sorprendere è che la Strategia Energetica Nazionale, documento di programmazione strategica in materia di energia, annoveri opere come il gasdotto Tap tra quelle ritenute “strategiche”. Quando ormai in tutto il mondo si parla di case “energia zero”, di rinnovabili, di accumulo di energia, di smart grid. Mancano il coraggio e la visione. Nessuno si offenda.

Negli anni scorsi ho seguito personalmente le battaglie della gente di Melendugno nell’esprimere la contrarietà all’opera che passa sotto una delle più belle spiagge del Salento e attraversa circa 55 km di campagne fino al punto di accesso alla rete Snam. Ricordo un incontro pubblico in cui alcuni parlamentari salentini dichiararono il proprio impegno a evitare quell’approdo.
Per poi diventare, a Roma, portavoce del governo nelle sue ferme intenzioni di andare avanti. Entrambe le camere impegnarono poi il nostro paese nella realizzazione dell’opera. E quest’è.

La battaglia dei sindaci No Tap ha un senso più ampio, a mio avviso: attiene all’istanza di nuovi modelli di sviluppo per il Sud e per il paese. Non si ravvisa, nel panorama politico nazionale, un disegno alternativo e chiaro a quello dell’agenda di governo. Che ha gioco facile nel segnare la strada e imporne il percorso. Quello che posso dire con assoluta certezza è che il livello di partecipazione nel Mezzogiorno sta cambiando. Il territorio non viene più percepito come nei tempi del documentario di Marsili. La narrazione dovrà cambiare, perché cambieranno le cose da raccontare. Non sarà solo un fatto di forma. Non si può non tener conto delle legittime aspirazioni del territorio e della necessità di tutelarlo da ogni forma di aggressione perché le sensibilità sono cambiate. Persino nella “sonnolenta Magna Grecia”.

Ieri a Lecce lo scrittore Franco Arminio ha presentato il suo ultimo lavoro, la raccolta di poesie Cedi la strada agli alberi (Ed. Chiarelettere). Dall’autore è provenuto un caloroso invito a sostenere pacificamente e fermamente il “Presidio No Tap” presente a Melendugno. Il libro contiene una bellissima “lettera ai ragazzi del Sud”. Uno stralcio: “Il Sud italiano è un inganno e un prodigio. Lasciate gli inganni ai mestieranti della vita piccola. Pensate che la vita colossale. Siate i ragazzi e le ragazze del prodigio”.

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