Per tutta la campagna elettorale si è rifiutato di rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi. Ed era stato così l’unico candidato a rompere la tradizione degli ultimi 40 anni. Ma ora Donald Trump ha deciso di diffondere la sua dichiarazione dei redditi del 2005, bruciando così lo scoop annunciato di David Johnston della Msnbc, vincitore del Pulitzer. La Casa Bianca ha spiegato che il tycoon nel 2005 pagò 38 milioni di dollari di imposte su entrate superiori a 150 milioni di dollari, con un’aliquota del 25%. Cifre diffuse dopo il duro attacco dello staff presidenziale all’emittente tv: “Sai che sei disperato dall’audience quando sei disposto a violare la legge per spingere una discussione su due pagine di una dichiarazione delle imposte di oltre 10 anni fa”, ha fatto sapere in un comunicato a Efe. E ha attaccato i media “disonesti” perché è “totalmente illegale rubare e pubblicare dichiarazioni delle tasse”.

La dichiarazione dei redditi era arrivata a Johnston via mail in forma anonima e il giornalista non esclude che sia stata proprio la cerchia di Trump a farla filtrare. “È assolutamente possibile che sia stato Donald ad inviarmelo – ha detto durante The Rachel Maddow Show, il programma della Msnbc che ha rivelato il documento – Donald Trump negli anni è stato all’origine di moltissime fughe di notizie quando pensava che la pubblicazione del materiale era nel suo interesse”. E ha aggiunto: “Con Donald, sapete, non si sa mai e quindi ho incluso anche quella possibilità nella lista delle possibili provenienze del documento”, ha aggiunto il giornalista investigativo, autore del libro The Making of Donald Trump, sottolineando che Trump ha la tendenza a “creare la sua realtà: dice cose che non sono vere, le dice e poi nega di averle dette, vive in questo mondo e non quello in cui viviamo noi di fatti verificabili“.

Riguardo poi all’accusa di pubblicazione illegale, i due giornalisti e l’emittente sarebbero protetti dal Primo emendamento. Infatti se è sicuramente illegale ottenere con mezzi illeciti la dichiarazione dei redditi di qualcuno per pubblicarla, diverso è il discorso se questa è arrivata, non richiesta, via mail, come sarebbe successo a Johnston. La Casa Bianca, nella sua dichiarazione, ricorda nel dettaglio gli articoli del codice penale che vieta la pubblicazione di informazioni fiscali senza l’autorizzazione dell’interessato e le pene previste. La questione era stata già dibattuta durante la campagna elettorale quando, di fronte ai continui rifiuti di Trump di rendere note le sue dichiarazioni dei redditi, il direttore del New York Times, Dean Baquet, e l’associate editor del Washington Post, Bob Woodward, il leggendario giornalista del Watergate, si erano detti pronti anche a finire in prigione per difendere la pubblicazione di documenti del genere.

Alcune settimane prima delle presidenziali dell’8 novembre il New York Times aveva pubblicato la dichiarazione dei redditi di Trump del 1995, constatando che l’ora presidente era riuscito a eludere il pagamento di imposte federali per 20 anni dopo avere presentato 916 milioni di dollari di perdite. La Casa Bianca ha difeso Trump, sottolineando che prima di essere presidente “è stato uno degli imprenditori di maggiore successo al mondo” che è riuscito a “non pagare più imposte di quelle legalmente richieste”. A proposito della dichiarazione dei redditi del 2005, la Casa Bianca ha ricordato che allora il settore delle costruzioni, cioè il principale ambito di affari di Trump, subì una “svalutazione su larga scala” e in questo modo ha giustificato l’aliquota del 25%, inferiore a quella corrispondente alle entrate del magnate repubblicano.

 

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