Quattro miliardi di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno, 1,2 miliardi e mezzo di veicoli circolanti nel pianeta, 27 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno prodotte da attività umane; barriere coralline distrutte, specie animali in via di estinzione; 400 parti per milione di Co2 in atmosfera, livello mai raggiunto nella storia del genere umano.
Se il pianeta continuerà a surriscaldarsi al ritmo attuale, alla fine del XXI secolo la temperatura si sarà alzata di 4 gradi, con alluvioni catastrofiche, siccità, isole perse per sempre, ghiacciai sciolti e immani migrazioni. Gli scienziati lo dicono da tempo, come tante cassandre mai ascoltate. Before the flood il documentario di Di Caprio lo ripete: al punto di non ritorno siamo quasi arrivati.

I colpevoli del riscaldamento globale sono presto noti: i combustibili fossili, i trasporti, il cemento, la deforestazione, l’agricoltura e l’allevamento intensivo. L’81% dell’energia mondiale proviene ancora da combustibili fossili, carbone, petrolio e gas che incidono al 64% sull’aumento di CO2 in atmosfera. La deforestazione (dovuta al traffico di legname e alle coltivazioni di palma da olio) incide per un altro 34%. La produzione di una tonnellata di cemento disperde 1,1 tonnellata di CO2 in atmosfera. Gli allevamenti e l’agricoltura intensiva sono responsabili di 5,3 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2011. In Brasile sono la causa principale della deforestazione. I mezzi di trasporto producono il 23% della CO2 globale.

Cosa fare per fermare questa catastrofe? Puntare tutto sull’energia rinnovabileridimensionare gli stili di vita occidentali (anche se Di Caprio, da bravo vip americano, su quest’ultimo punto sembra un po’ tentennare). La Carbon Tax sarebbe un ottimo deterrente: si tassa la benzina, la plastica, il cemento, l’energia che deriva da fonti non rinnovabili. Si tassa tutto ciò che ha impatto sull’ambiente, perché tanto prima o poi, quei costi ci ricadranno addosso, sotto forma di alluvioni, siccità, malattie, guerre. Purtroppo le lobbies petrolifere e del carbone si oppongono, influenzando le decisioni politiche al punto che nemmeno Obama accennò alla Carbon Tax in campagna elettorale. Nemmeno nell’accordo di Parigi la Carbon Tax fu inserita. Ora che Trump, incallito negazionista dei cambiamenti climatici, è presidente degli Stati Uniti, il futuro si fa ancora più fosco.

Ma non dobbiamo aspettarci che i governanti facciano il primo passo. Solo se la base si muoverà, i governanti seguiranno. E la base siamo noi. C’è un interessante sito, dove ognuno può calcolare la sua impronta carbonica totale. Io produco circa 1 tonnellata di CO2 l’anno. L’impronta media carbonica degli abitanti dell’Italia è 9,2 tonnellate.

Cosa fare in concreto, nel quotidiano?
– Mangiare prevalentemente locale, biologico, eliminando o quantomeno riducendo latticini e carne;
– Privilegiare l’allattamento al seno;
– Comprare sfuso, alla spina, ridurre i rifiuti a monte;
Autoprodurre ciò che è possibile;
– Muoversi a piedi, in bici o coi mezzi pubblici tutte le volte che è possibile (ed è possibile molto più spesso di quel che crediamo);
– Ridurre i consumi di lusso, i vestiti nuovi e le apparecchiature elettroniche,
– Investire nelle banche etiche (come Banca Etica) che non finanziano traffico di armi e speculazioni;
– Usare energia rinnovabile (se non è possibile installare pannelli fotovoltaici nella propria casa, è possibile comunque associarsi ad un gestore etico di energia rinnovabile, come Retenergie o Co-energia).

Tutto questo non è rinuncia, non è vivere da eremita, non è vivere in miseria. E’ democrazia, sobrietà e libertà. Prima che sia troppo tardi, prima che arrivi il punto di non ritorno, proviamoci. Perché i nostri figli non ci perdoneranno quel che era in nostro potere di fare, e non è stato fatto.

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