“Trump non ha possibilità di vittoria, è troppo radicale, ma non crediate che con Hillary Clinton si avrà un futuro semplice: lei rappresenta in pieno la visione di mondo americana, credo sarà più dura e certamente più militarizzata di Obama”. Oliver Stone, 70 anni e un animo da combattente incorrotto, è approdato oggi alla Festa del cinema di Roma accompagnando Snowden, il suo atteso film sull’uomo che ha scatenato il Datagate.

Un film complesso e rischioso da produrre, naturalmente rifiutato dai colossi hollywoodiani, e realizzato grazie soprattutto a Francia e Germania e di cui il Fatto vi mostra il trailer in esclusiva. In esso vi è il tentativo – nei limiti del possibile – di aderire ai fatti reali così come Ed Snowden li ha rivelati prima a Laura Poitras (che pure compare nel film interpretata da Melissa Leo) e poi a Stone, “aiutandomi nella sceneggiatura su più revisioni, fornendomi suggerimenti, correzioni, dettagli. Snowden ha approvato il film, e per me questo era fondamentale”. La figura del grande informatico – interpretata con sensibilità da un mimetico Joseph Gordon-Levitt – è rappresentata nel dramma di Stone quale un eroe umano, con non poche macchie e paure e che, in un certo senso, aiuta a completare con la verosimiglianza lo straordinario lavoro realizzato dalla Poitras in Citizenfour, documentario vincitore dell’Oscar nel 2015.

Quanto Snowden ci ha donato nel 2013 è di portata epocale per la Storia americana e del mondo intero. Sul momento neppure io, come diversi americani, avevo compreso il significato delle sue rivelazioni ma poi facendo il film, analizzando passo per passo i motivi che lo hanno spinto a compiere questo sacrificio incredibile, l’ho capito” sottolinea un concitato Oliver Stone. “Ho tentato di fare una pellicola kafkiana che scavi nel Male in profondità. Io sono un reduce degli orrori della guerra, delle censure, insomma delle nefandezze del mio Paese, ma il discorso sulla sorveglianza di massa imposta dal Governo su chiunque, indistintamente, è tra le realtà peggiori di cui mi sono trovato testimone”.

Non è un caso, dunque, che nella sceneggiatura di Snowden emergano due statement pronunciati dalle alte sfere della Cia e della Nsa (National Security Agency) dal valore simbolico allarmante: “La segretezza è sicurezza e la sicurezza è vittoria” a cui si aggiunge “Gli americani non vogliono la libertà, vogliono la sicurezza“. A che prezzo, però? si chiedono il regista e, per estensione, il “suo” Ed Snowden. “Vi raccomando di stare attenti, siamo tutti potenziali sospetti di qualunque azione che gli Usa possano considerare criminale. Grazie a Edward, tuttora rifugiato a Mosca, oggi le compagnie telefoniche hanno implementato procedure per la protezione della privacy che, ironicamente, collidono con i desideri della Casa Bianca!”.

E, spostando nuovamente il ragionamento sula sede presidenziale, Oliver Stone torna a ribadire quanto già aveva annunciato in occasione del suo World Trade Center nel 2006: “Lo sappiamo tutti, l’11 settembre era stato previsto e giaceva nei file forniti dalla Cia a Pentagono e Casa Bianca, peccato che questi non li abbiano letti! Dunque è ridicolo che il governo imponga la sorveglianza endemica della popolazione americana e non solo con la scusa del terrorismo: in realtà, come dice Snowden molto chiaramente, è un modo per incrementare il potere e l’egemonia economica statunitense nel mondo. Ripeto, stiamo attenti, i regimi del prossimo futuro non saranno più costruiti sul controllo militare bensì su quello informatico”. Il tema è di priorità assoluta e fa pensare alle notizie sui malaware (virus informatici) iniettati dai servizi segreti americani nei sistemi informativi di alcuni Governi stranieri, come in Iran. A parlarne è già stato il grande documentarista Alex Gibney nel suo illuminante Zero Days visto all’ultima Berlinale. Snowden uscirà in Italia il 1° dicembre distribuito da BIM.

Il trailer in esclusiva per il Fatto.it

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