La campagna per il referendum sulle riforme costituzionali che si terrà il 4 dicembre è entrata nel vivo.

Ieri sera abbiamo visto un confronto tv fra Renzi e il professore di diritto costituzionale Gustavo Zagrebelsky. Nei giorni prima abbiamo visto il tour in moto di Alessandro Di Battista su tutta la costa italiana, gli spettacoli di Travaglio, poi slogan e argomentazioni varie dai due schieramenti, semplici e complesse, personalizzazione e spersonalizzazione del premier.

Cosa funziona e cosa non funziona, dal punto di vista della comunicazione, in questa campagna per il referendum?

Personalizzazione di Renzi – Non funziona

A marzo Renzi diceva: in caso di sconfitta “è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”.

Poi il suo consulente Jim Messina (dallo staff di Obama) gli ha detto che era un errore, e da lì è iniziata la spersonalizzazione.

Perché personalizzare la sfida riducendo il referendum ad un Renzi Sì – Renzi No è sbagliato? Perché la fiducia in Renzi è calata negli ultimi mesi, venendo superato in estate (periodo del ripensamento) da Luigi Di Maio.

Personalizzare non è tecnicamente sbagliato a priori. Anzi. Dipende dal gradimento di cui gode la persona che lega il voto a se stessa. La decisione è quindi facile da prendere, sondaggi alla mano: se sono amato, personalizzo; se sono odiato, no.

Semplificazione – Funziona, soprattutto a destra

Entrare nel merito o semplificare? Entrambi i fronti hanno usato sia banalizzazioni che argomentazioni approfondite.

Ha fatto discutere la dichiarazione di Grillo, dal palco del tour di Di Battista a San Vincenzo: “E’ inutile che mi spiegate il referendum! Non lo capireste. Non lo capisco neanche io in fondo. Sono tutte belle parole per il sì e per il no. Voi dovete decidere con l’istinto primordiale che avete ancora. Guardate le facce di chi vi dice votate sì. Guardate le facce!”

Grillo ha forse sbagliato a porre il dibattito su questo piano, come sostengono alcuni? No, non ha sbagliato. Come spiega il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, nel suo saggio Pensieri lenti e veloci, in politica, nella maggior parte dei casi, si decide di istinto. È all’inconscio quindi che bisogna parlare.

Quindi, la maggior parte di tutti noi agisce soprattutto per decisioni prese in modo inconscio. Ma c’è uno schieramento, quello di destra, che secondo gli studi del linguista George Lakoff agisce quasi esclusivamente in questo modo, di impulso.

Gli elettori di destra – secondo Lakoff – accettano più facilmente argomentazioni semplici, dato che non è loro abitudine a mettere in discussione la parola del leader. Prendono quindi decisioni in modo istintivo, irrazionale. Loro non hanno bisogno di indagare, si fidano, e gli dà fastidio chi pone sempre dubbi sulle questioni.

Un retaggio che viene dall’infanzia, magari in famiglie con un padre severo.

Entrare nel merito – Funziona per una minoranza

Dato che nei referendum si vince con la maggioranza, bisogna parlare a tutti. Quindi anche a quella minoranza che non decide di istinto. Dunque, ha senso anche argomentare, come fanno Marco Travaglio col suo libro e lo spettacolo Perché No, e come fanno Zagrebelsky e i vari costituzionalisti che entrano nel merito delle riforme, sugli articoli, sui tecnicismi.

Se la semplificazione funziona soprattutto a destra, entrare nel merito funziona specialmente a sinistra, dove abbiamo un pubblico abituato a mettere sempre in discussione la parola del leader, un pubblico che fa domande e resta fondamentalmente diffidente.

A conferma di questa tendenza della sinistra, abbiamo assistito al paradosso per cui Massimo D’Alema, promotore di comitati per il No, è stato una delle star delle feste dell’Unità di questa estate.

Il tour di Di Battista in moto – Funziona

Uno dei simboli di questa campagna resterà il casco di Alessandro Di Battista. Il deputato del M5S ha girato l’Italia in moto per un tour nelle piazze della costa per spiegare le ragioni del No, chiamato Costituzione coast to coast.

I tour non è detto che funzionino. Ma l’idea di Di Battista ha funzionato alla grande perché grazie ad alcune sue idee ha ricalcato lo schema narrativo classico del Viaggio dell’eroe.

Tutte le più grandi storie che restano impresse nell’immaginario collettivo sono basate sullo schema del Viaggio dell’eroe: l’Odissea, i Viaggi di Gulliver, Moby Dick, fino al Signore degli anelli e a Guerre stellari.

E’ uno schema fisso che elenco di seguito, spiegando in che modo Di Battista l’ha raccontato per la sua storia.

  1. Mondo ordinario: l’Italia va avanti con le sue difficoltà, ma la Costituzione (l’oggetto sacro, il Graal) è al sicuro.
  2. Richiamo all’avventura: all’eroe si presenta un problema ed è chiamato a risolverlo fuori dal mondo ordinario. Nel caso di Di Battista: c’è qualcuno che vuole distruggere la Costituzione, lui in sella alla moto deve intraprendere un viaggio – che come sempre finirà al punto di partenza – per salvarla.
  3. Il mentore (il vecchio saggio): l’eroe incontra le prime difficoltà, ma arriva in suo soccorso il Mentore, che lo accompagna per un tratto di strada, dandogli la forza per continuare il viaggio. Grillo non me ne voglia se l’ho paragonato a Merlino.
  4. Alleati e nemici: lungo il viaggio l’eroe incontra nemici (il sindaco che gli nega la piazza, gli avversari che chiedono con quali soldi paghi il casello), ma anche amici, ovvero gli altri parlamentari che sono saliti sul palco con lui in alcune tappe.
  5. La prova finale: l’avremo il 4 dicembre.

A questa seguirà la ricompensa. Oppure la morte (in senso metaforico, si intende).

Fare una cosa del genere non è alla portata di tutti. Pochi politici oggi hanno la forza di fare un viaggio del genere in moto. Ce li vedete? Anche questo rende stra-ordinario il viaggio di Di Battista.

Inoltre, Di Battista, ha raccontato questo viaggio passo passo, sulla sua pagina Facebook e su Instagram. Un lavoro che ha richiesto un ulteriore sforzo. Tutte le storie sono storie perché vengono raccontate. Un racconto fatto male, ad intermittenza, non avrebbe funzionato.

Dibattiti TV – funzionano

La Gruber ha stabilito un record di ascolti grazie al confronto Renzi – Travaglio. In questo confronto, durato solo mezz’ora, i due si sono sfidati ad armi pari: hanno potuto e saputo argomentare, ma anche semplificare, fino a scendere sul campo delle battute e delle frecciate.

Nei giorni seguenti, sul Fatto Quotidiano il direttore ha pubblicato un fact checking che smentisce molte affermazioni di Renzi. Ma, ovviamente, solo una parte degli spettatori di Otto e mezzo lo ha letto.

In quell’occasione non c’era tempo per un fact checking in diretta. Quindi credo che quella trasmissione non abbia spostato voti.

Al contrario, ieri sera da Enrico Mentana, nella nuova trasmissione Sì o no, di tempo ce n’è stato per argomentare.

Contro Zagrebelsky, in un format del genere, Renzi non ha avuto scampo. Renzi doveva mantenere rispetto per il professor Zagrebelsky, quindi non poteva buttarla in confusione, con battute e frecciate. Questo non lo ha aiutato.

Inoltre Zagrebelsky argomentava e pazientemente ribatteva punto su punto. Non si è mai scaldato. Questa calma e sicurezza ha mandato fuori di testa Renzi, che diventava paonazzo in volto in diverse occasioni.

Sul finale Renzi ha cominciato a scalpitare, chiedendo a Mentana quanto mancasse alla fine della trasmissione, fino a fare una battuta sul fatto che avrebbe chiamato la Folgore per farsi venire a liberare.

Ecco come battere un fuoriclasse della comunicazione come Renzi ad un confronto sulle riforme: restare calmi e argomentare a fondo. No slogan e battute: su quel campo vince lui.

Questa è la fotografia della campagna per il referendum a due mesi dalla fine. C’è da convincere ancora un quarto degli italiani, che al momento è indeciso. La partita si decide su di loro.

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