Doveva essere competitiva anche in Europa, magari migliorando il risultato dell’ottavo di finale dello scorso anno: è stata eliminata dalla Champions League ancora prima di cominciarla. Doveva lottare alla pari per lo scudetto con la Juventus: è già lontana cinque punti dopo appena sei giornata. La Roma di Spalletti si è persa in quest’inizio di stagione che avrebbe dovuto consacrarla, e sta tornando ad assomigliare pericolosamente a quella di fine epoca Garcia. In una sorta di andamento ciclico ma eternamente incompiuto, che sembra un po’ essere la costante dell’ultimo decennio giallorosso.

Cinque punti di distacco dalla vetta, uno in meno rispetto all’anno scorso, peggior difesa fra le prime otto della classifica. I numeri dicono tanto ma non raccontano tutto. Perché avrebbero potuto essere ben peggiori, se ad esempio non fosse arrivata la vittoria all’ultimo minuto con la Sampdoria grazie alle prodezze di Totti (e ad un regalo arbitrale). L’impressione – che era tale già all’inizio del campionato e sta diventando una certezza giornata dopo giornata – è che la Roma sia l’unica fra le grandi ad essersi indebolita: la Juventus ha comprato in abbondanza, l’Inter si è senz’altro rinforzata, il Napoli ha dovuto cedere Higuain ma ha rinnovato tutti i reparti. La Roma no: è praticamente la stessa di prima, visto che in estate sono arrivati solo una serie di innesti difensivi inaffidabili. Senza però Pjanic. E forse senza neppure quell’ “effetto Spalletti” che era stato il segreto del grande inizio di 2016.

L’ennesimo tormentone su Totti ha fatto scivolare in secondo piano l’involuzione di quella che tra gennaio e maggio scorso, da quando Spalletti aveva sostituito Rudi Garcia in panchina, era stata una squadra da scudetto: appena tre partite perse in quattro mesi, una contro la Juve e due in Champions contro il Real Madrid. Bilancio già eguagliato ieri con il 3-1 rimediato dal Torino, dopo la sconfitta di Firenze e quella devastante nei preliminari di Champions con il Porto. Indubbiamente il mercato ha riconsegnato al tecnico toscano una squadra con evidenti limiti strutturali dal centrocampo in giù. In mezzo c’è solo un ricambio (il giovane Paredes) e Strootman è costretto a giocare sempre dopo praticamente due anni di inattività. Ancor più grave la situazione in difesa, come dimostrano le 8 reti subite in 6 giornate (una media di 1,33 gol a partita, solo Crotone, Atalanta, Cagliari, Udinese e Bologna hanno fatto peggio): Vermaelen è già un desaparecido (ma del resto aveva giocato appena 25 partite negli ultimi tre anni per infortuni vari), Juan Jesus sta confermando tutto quanto di male fatto vedere all’Inter, Fazio è solo un rincalzo; e in più il k.o. di Mario Rui sta costringendo Bruno Peres a giocare sistematicamente fuori ruolo a sinistra. Se e quando sarà il momento dei processi, sicuramente il ds Walter Sabatini dovrà prendersi le sue colpe.

La mancanza di tenuta psicologica (la stessa lamentata proprio dall’allenatore, che ha parlato di “menti un po’ malate”), però, non può essere solo frutto di questi limiti difensivi e del contraccolpo (forse più sentito del previsto) dell’addio di Pjanic. La Roma sembra essere tornata quella squadra fragile, che vola sulle ali dell’entusiasmo o si scioglie alle prime difficoltà. Esattamente ciò che Spalletti era riuscito a cambiare l’anno scorso, e sta riaffiorando quest’anno dal passato di una squadra che non impara mai dai suoi errori. Domenica prossima la sfida contro l’Inter rischia già di essere crocevia della stagione della consacrazione. O dell’ennesima involuzione.

Twitter: @lVendemiale

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