Con la paura del “terrorista-della-porta-accanto”, si moltiplicano gli acquisti di armi e i corsi di autodifesa. In Israele durante la recente “Intifadah dei coltelli” dozzine di tv mostravano ragazze che si allenavano a immobilizzare possibili accoltellatori.  L’antropologo giapponese Itsuo Tsuda, che a Parigi , insegnò Aikido dal 1970 al 1984 (anno della sua morte), spiegava che questo tipo di corsi possono rivelarsi del tutto inutili in una situazione di emergenza (1). Chi si trova ad affrontarla – diceva – potrebbe aver speso anni a indurirsi le nocche spaccando mattoni a colpi di karatè, ma se al momento buono gli si blocca il plesso , tutte le “tecniche” apprese in palestra si rivelerebbero inutili.

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Molti casi di stupro, infatti , si verificano non perché l’aggressore sia necessariamente più grosso e forte, ma perché alla vittima si blocca il respiro e da quel momento diventa ostaggio dello stupratore. Tsuda spiegava che l’unico “allenamento” , l’ unica “pratica” che conti davvero. è quella che lavora sulla respirazione e non sui muscoli , sulla velocità o sulle tecniche di combattimento. Solo ritrovando la respirazione , cioè la spontaneità che avevamo da bambini, troveremo la risposta che ci viene richiesta dalla situazione imprevista che ci troviamo ad affrontare.  A questo proposito , Tsuda citava i casi di tre donne , ignare di pratiche marziali, che a Parigi che si erano liberate dell’aggressore senza ricorrere a ‘tecniche’ particolari, ma solo con gesti improvvisati : una gli aveva morso la lingua fingendo di baciarlo, l’altra aveva cacciato un urlo tale da richiamare l’attenzione di un intero caseggiato e la terza gli aveva sferrato una ginocchiata tra le gambe.

Per questo l’Aikido diffuso da Tsuda in Europa si differenzia notevolmente da quello che va per la maggiore nelle palestre. Non si tratta né di uno sport né di un’arte marziale, ma di una ricerca interiore che risveglia la nostra sensibilità grazie all’approfondimento della respirazione e alla purificazione del ‘ki’. Termine difficilmente traducibile dal giapponese, ‘ki’ può essere reso con ‘respiro’, ‘soffio’ ma anche ‘spontaneità’, intuizione’, ‘energia vitale’. Il ‘ki’ attiene alla sfera del sentire e non all’ambito della conoscenza. Non a caso Tsuda aveva abbinato l’ Aikido ad un’altra pratica che, semplificando, si potrebbe definire una forma di “meditazione in movimento“ .

Il ‘katsugen Undo’ (trad. “movimento rigeneratore”) cioè un movimento che permette il ritorno alla sorgente, cioè a quella spontaneità che è l’essenza della vita. Una ‘ginnastica del sistema involontario’ che lo differenzia da ogni tipo di esercizio attraverso movimenti volontari e controllati dalla mente.  Diverso per ciascun individuo, è spontaneo e naturale, non può essere ‘eseguito’, ma si manifesta da sé non appena la mente accetta di ‘lasciare la presa’.  L’eredità dell ‘insegnamento di Tsuda è andata in gran parte dispersa o ha preso strade molto lontane dallo spirito originale , ma qualcosa di quell’ esperienza , oggi sopravvive a Tolosa, a Parigi e a Milano nel Dojo “A Ke Lei Naa” , dove venerdi sabato e domenica si terrà uno stage sia di Aikido che di Katsugen Undo , animato da Giovanni Frova, che aveva curato le traduzioni di tutti i libri di Tsuda e che da vent’anni insegna le due pratiche. Chi fosse interessato allo stage e alla pratica cfr. il sito www.akeleinaadojo.it

(1) Tsudà pubblicò una dozzina di libri tradotti in Italia da Luni Editore

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