“Non ci si abitua mai a vedere dei bambini morti”. Come un pugno allo stomaco, il dottor Pietro Bartolo, direttore della Asl di Lampedusa, si emoziona ogni volta che rievoca le atrocità di cui è dal 1991 testimone. Il suo incontro con Gianfranco Rosi è stato determinante affinché Fuocoammare prendesse anima e forma. Oggi il nuovo film del regista già Leone d’oro a Venezia per Sacro GRA arriva alla Berlinale, dove concorre per l’Orso d’oro. Ed è l’unico italiano in gara.

Documento/documentario straordinario sia per l’importanza che incarna sia per l’esperienza produttiva che rappresenta, Fuocoammare è il frutto di un anno di permanenza di Rosi sull’isola di Lampedusa dove il cineasta ha immortalato l’incontro tanto con i lampedusani quanto con i migranti che tragicamente approdano – vivi e morti – a centinaia di migliaia sulle coste. La stampa internazionale presente a Berlino gli ha tributato un caloroso applauso, comprovando il fatto che la drammatica situazione che sperimenta Lampedusa ormai da troppi anni è materia che non riguarda solo l’Italia ma certamente tutta l’Europa e il mondo.

“Siamo tutti responsabili di questa tragedia laddove non viene fatto nulla di concreto per evitarla” dice Rosi, che ha toccato con mano e filmato la tragedia. “I lampedusani sono eccezionali, fanno il loro possibile per salvare naufraghi e migranti che approdano sull’isola, ma la responsabilità di quelle oltre 40mila persone morte in mare è politica: come è possibile mettere le barriere a 20 miglia dalla Libia? Oggi non si resuscitano i morti, ma si potrebbe evitare ulteriori tragedie costruendo il tanto chiacchierato corridoio umanitario fino alla Libia e portare via quelle persone sofferenti. Non dimentichiamoci che quanto sta accadendo a Lampedusa è la più grave tragedia umanitaria dopo l’Olocausto. E noi ne siamo testimoni”.

Sono parole forti ma inevitabili le sue e il festival di Berlino, da sempre luogo sensibile alle tematiche civili e sociali, diventa un tutt’uno con Lampedusa. L’importanza di Fuocommare – che il cineasta tiene a precisare essere “politico come qualunque film” – è di testimoniare un’apocalisse umana in corso, e di farlo con uno sguardo che si tiene lontano dall’inchiesta giornalistica.

Il racconto, infatti, scorre su due canali: da una parte quello di alcuni abitanti tra cui spicca il 12enne Samuele – ragazzino eccezionale – che ha accompagnato il regista nella scoperta del cuore degli isolani, dall’altra quello del “mondo nel mondo”, cioè il centro di accoglienza dei migranti che è nettamente separato dalla quotidianità dei lampedusani. A fare da cerniera, appunto, è il magnifico dottor Bartolo, che si occupa personalmente di assistere a ogni singolo sbarco, di visitare le persone approdate e decidere come smistarle.

E’ grazie a Bartolo che Rosi ha deciso di trasformare l’iniziale progetto di un corto di 10 minuti in un film vero e proprio. Come è solito fare in ogni suo lavoro, il cineasta nativo di Asmara e giramondo per scelta, si è letteralmente immerso per un anno nel tessuto della realtà che avrebbe raccontato. Da attento osservatore invisibile quale lo sappiamo essere, ammette che “nessuno si è accorto che stavamo girando. Ogni giorno mi chiedevano ‘ma quando inizia il film?’ e io l’avevo quasi finito. Anche il montaggio l’abbiamo fatto sull’isola, era fondamentale non staccarsi dal territorio”.

A visione fatta e meditata, Fuocoammare scava nell’anima senza retorica ma con infinita pietas, utilizzando pudore ma sincerità di fronte tanto ai vivi quanto a coloro che non ce l’hanno fatta. Il film, coprodotto da Rosi stesso con Donatella Palermo e con la Francia insieme a Istituto Luce-Cinecittà e Rai Cinema, uscirà in Italia il 18 febbraio.

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