Società

Questione meridionale, Gramsci spiegò come chiuderla

Quando Gramsci scriveva di Questione meridionale, soprattutto negli anni della sua prigionia, aveva già ben chiaro che la risoluzione del dramma dei divari nel paese non potesse derubricarsi a mero affaire locale. Nelle sue parole si legge chiaramente la consapevolezza del fatto che il processo risorgimentale si era risolto con un bilancio in rosso (in termini di finanza e di sangue versato) per il Sud.

Tuttavia, l’intellettuale sardo non commise mai l’errore banale di propugnare soluzioni che mettessero a soqquadro il paese, aizzando banalmente una sua parte contro l’altra, sciacallando sulle contingenze socioeconomiche passeggere. Insomma, Gramsci evitò del tutto quei sottoprodotti politici secessionisti di vario segno, presentando, invece, elementi di pensiero ed analisi tuttora preziosi.

Aveva colto bene come già a fine ‘800 la politica avesse impedito scientificamente il corto circuito tra i blocchi sociali che invece avrebbero potuto risolvere la Questione meridionale: operai del Nord e contadini del Sud. Nei Quaderni, Gramsci illustra lo sforzo profuso tra gli operai torinesi per disinnescare la propaganda socialista di stampo positivista, che mirava a seminare l’idea del Sud “palla al piede” e del meridionale antropologicamente meno dotato. Negli scritti gramsciani si legge di fatti concreti in forte contrasto con questa comoda vulgata, che tanta presa ha fatto, eppure.

Nel parlare dell’emigrazione dal Sud, scrisse: “Il governo offrì dei buoni del tesoro a interesse certo e gli emigranti e le loro famiglie da agenti della rivoluzione silenziosa si mutarono in agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le industrie parassitarie del Nord. Francesco Nitti, nel piano democratico e formalmente fuori del blocco agrario meridionale, […] fu invece il miglior agente del capitalismo settentrionale per rastrellare le ultime risorse del risparmio meridionale. I miliardi inghiottiti dalla Banca di Sconto erano quasi tutti dovuti al Mezzogiorno: i 400000 creditori della Bis erano in grandissima maggioranza risparmiatori meridionali”. Emigrazione conveniente, dunque. Che dire della stessa carenza di opportunità che tuttora persiste nel Mezzogiorno? Queste parole di Gramsci dimostrano come possa scivolare facilmente, in date condizioni al contorno, il labile limite del concetto di sfruttamento e parassitismo. E insegna, soprattutto, quanto sia poco ragionevole, anzi, per nulla, invocare distacchi e secessioni in virtù di pura convenienza economica contingente.

Nonostante gli scritti di Gramsci siano datati, soccorrono nella decifrazione dei lineamenti della Questione meridionale, e aiutano a prevederne soluzioni:

Inutile frazionare il paese per liberarsi dai fenomeni mafiosi se, come ben ricorda Nando dalla Chiesa nella sua memorabile introduzione alla nuova edizione degli scritti gramsciani sulla Questione meridionale, la “linea della palma profetizzata da Sciascia ha ormai raggiunto latitudini prealpine, con tutto il suo armamentario deteriore, configurandosi ormai il fenomeno mafioso come “giurisdizione concorrente”.

La Questione meridionale è ormai dissolta in una più ampia Questione nazionale, come sottolinea sempre dalla Chiesa. Egli descrive bene la traslazione della “mentalità della rendita” dal latifondo alla città “in forme e pratiche nuove, dalla rendita urbana dei piani regolatori al controllo politico dei flussi di spesa pubblica, si tratti di politiche delle assunzioni o della erogazione dei contributi di vario genere e rango”.

Ecco, al Sud come al Nord, occorre spezzare questa mentalità della rendita, alimentata da rapaci e interessati mediatori. Un simile fenomeno non può che avvenire dal basso. Il riconoscimento del ruolo svolto da questi intermediari della corruzione nel perpetuarsi della Questione meridionale e di tanti altri mali del paese è il primo passo propedeutico a qualsiasi soluzione si intenda proporre. Il deficit colpevole di controllo della gente del Sud sui suoi amministratori di vario rango, si può superare solo con una maggiore partecipazione nella gestione della cosa pubblica. In parallelo, trasmettere alla gente del Nord Italia quanto possa convenire un simile processo, anche sotto il mero profilo economico, davvero innescherebbe la fine di tanti fenomeni che imperversano nel paese. Sarebbe il cortocircuito invocato da Gramsci tra le varie anime del paese. Mutatis mutandis.

Chiudiamo con le parole di Gramsci del 1916: “Il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali”.