La frase del giorno se la aggiudica un avvocato, negando l’autorizzazione alle riprese televisive: “Non c’è un rilievo sociale, presidente, è un processo come altri”. Dietro alle sue spalle l’aula dedicata a Vittorio Occorsio è piena come non mai. Più di un centinaio di avvocati, decine di giornalisti, rappresentanti di associazioni, qualche curioso. Pochi imputati, che si contano sulle dita di una mano. Figure minori, a parte Luca Odevaine, l’esponente della sinistra del Pd romano, da qualche giorno ai domiciliari dopo 11 mesi di carcere. Il gotha della presunta associazione mafiosa contestata dalla Procura di Roma è lontana chilometri ed assiste in videoconferenza. Si ascolta appena il nome, annunciato dagli ufficiali di polizia giudiziaria, che certificano il rispetto di procedure e garanzie. I volti dei protagonisti più noti sono lontani, invisibili.

E’ Mafia Capitale. E’ l’inizio di quello che si preannuncia il processo al sistema Roma, dove si incrociano i destini di ex Narfascisti dei quartieri bene, politici rampanti che hanno deciso per anni il destino della città eterna, imprenditori definiti “collusi” nel capo d’imputazione, traffichini di ogni genere e veri Ras dei voti, gente de panza capace di racimolare migliaia di preferenze nelle periferie da sempre abbandonate.

Roma ingloba e digerisce tutto. Lascia poco spazio ai rituali, è lontana anni luce dalle aule bunker di Palermo, dove la forma – anche esterna al codice – prevale, sempre. Già alle 8.30, un’ora prima dell’ingresso nell’aula la calca preme davanti alla porta di ferro blu scura. “Prima gli avvocati”, spiega un maggiore dei carabinieri. E, con molta fatica, una parte consistente dell’ordine forense della Capitale guadagna l’aula tesserino alla mano, con uno stuolo di praticanti, assistenti, portaborse. L’importante è esserci, varcare la soglia del processo del secolo. “Boh, mi sa che sto a perde’ tempo – commenta un legale con la toga sulle spalle – non ho imputatati da difendere qui dentro”.

Ad aprire il fuoco di fila della difesa – che si preannuncia particolarmente intenso – è l’avvocato Giosuè Naso, difensore di Massimo Carminati, del suo braccio destro Riccardo Brugia (che il legale chiama “il suo occhio destro”, per cercare la fin troppo facile battuta) e Fabrizio Testa. Contesta il decreto del presidente del collegio che ha disposto la partecipazione attraverso la video conferenza per gli imputati con l’accusa di associazione mafiosa: “Questo è un processetto, presidente – ha scandito il legale – montato ad arte da una regia che ben conosciamo, con clamore mediatico. Ma, tecnicamente, è solo un processetto”. Poi fa capire che difficilmente le difese accetteranno il fitto calendario di 4 udienze a settimana, programmato dal presidente della decima sezione del tribunale di Roma. A rispondere è uno dei tre pubblici ministeri scesi dagli uffici della Procura per sostenere l’accusa, Giuseppe Cascini: “Non è possibile trasferire a Rebibbia detenuti che gestivano la mensa di quel carcere; come non è possibile mantenere nella stessa struttura persone accusate di far parte di una medesima associazione di stampo mafioso”, ha commentato chiedendo al collegio di mantenere il decreto che dispone la videoconferenza e la detenzione in strutture diverse da Rebibbia per Carminati e Buzzi.

Questioni preliminari, sollevate dalla difesa che punta a smontare ogni valenza simbolica del processo. La parola chiave che gira tra i legali romani è fin troppo chiara: normale amministrazione, un’udienza come altre, nessun clamore, nessuna mafia. E’ in fondo il proseguimento della tattica che aveva portato la camera penale di Roma a denunciare 96 giornalisti – tra cronisti e direttori – per la divulgazione di brani delle ordinanze di custodia cautelare e delle informative del Ros dei carabinieri. Quelle parole del mondo di mezzo intercettate dal Ros per anni, che raccontano meglio di qualunque cosa il ventre profondo della Capitale, contano eccome in una Roma costretta a guardarsi allo specchio. Mentre nell’aula Occorsio riprende la prima udienza, tra eccezioni e richiami alla procedura, nei corridoi della città giudiziaria appaiono altri pezzi di un racconto alla ricerca di una sintesi. Piccole batterie di periferia, storie di traffici e “impicci”, braccia tatuate e magliette attillate. Imputati di altri “processetti” che guardano sfilare avvocati,  giornalisti, curiosi e qualche volto noto. Roma l’eterna oggi si incrocia dalle parti di piazzale Clodio.

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