Non solo le toppe: i cantieri che fanno fatica a partire, i paradossi burocratici, una storia che si ripete da decine di anni, se non da secoli. Ma per difendere il territorio e combattere il dissesto idrogeologico il governo e la maggioranza pensano anche a limiti per il consumo del suolo. Certo, per due anni il disegno di legge del Pd è scomparso. E i ministri competenti Gian Luca Galletti e Maurizio Martina hanno impiegato 4 mesi prima di pronunciarsi sugli emendamenti presentati all’esame delle commissioni Ambiente e Agricoltura della Camera: il voto finale in commissione è previsto per giovedì, mentre il ddl approderà in Aula entro novembre, quando il testo risulterà svuotato. E, secondo le opposizioni, è già peggiore rispetto alla prima stesura adottata nel marzo 2014. Ma ora gli emendamenti dei relatori Chiara Braga e Massimo Fiorio (entrambi del Pd) presentano una serie di “fatta eccezione per” e cancellano interi commi e l’effetto sarà l’allentamento delle maglie in favore del “cemento facile”. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti a entrambi i ministri. Solo Martina ha risposto che nella relazione in commissione alla Camera spiegherà “punto per punto perché non è più rinviabile una legge italiana per la tutela del suolo e che le norme che verranno introdotte dovranno favorire il ripristino di un corretto equilibrio territoriale”. Per il ministero dell’Ambiente ha risposto la sottosegretaria Silvia Velo che assicura che la legge è in linea con le normative europee. 

Gli emendamenti del Pd che “consumano” la legge
Una proposta di modifica del Pd parte dalla  stessa definizione di “superficie agricola, naturale e seminaturale” alla quale si riferisce in particolare la legge e sulla base della quale si misura il consumo di suolo. Il testo base escludeva già “le superfici destinate a servizi pubblici di livello generale e locale previsti dagli strumenti urbanistici vigenti”: scuole, stazioni, aree bus, strutture sanitarie. Gli emendamenti dei democratici ora aggiungono “i lotti e gli spazi inedificati interclusi già dotati di opere di urbanizzazione primaria e destinati prioritariamente a interventi di riuso e di rigenerazione”. In sostanza si tratta degli spazi verdi tra una costruzione e l’altra come i giardini o i campi tra un’abitazione e l’altra. In queste aree, così, si potrà gettare cemento senza che venga considerato consumo di suolo. Non solo: non sarà più consumo del suolo neanche la cosiddetta “copertura artificiale e di scavo” (in pratica le cave). E così si potrà continuare a sbriciolare montagne e boschi, senza intaccare le statistiche di suolo impermeabilizzato. Poi gli incentivi e le agevolazioni ai giovani imprenditori agricoli per favorire il reinsediamento di attività agricole in aree abbandonate e prevenire quindi il dissesto: cancellati.

Le Grandi opere, prima di tutto
E ancora: con un unico emendamento vengono escluse dalla norma tutte le grandi opere della legge Obiettivo, che potranno quindi andare avanti indisturbate, divorando terreno vergine, senza limiti. 
“Un articolo questo che rischia di indebolire molto l’impianto della norma”, commenta Massimo De Rosa, deputato Cinque Stelle, membro della commissione Ambiente e promotore di una delle proposte di legge sullo stop al consumo di suolo poi confluite nel testo in discussione. “Il meccanismo di questa norma – spiega – sembra un incentivo a consumare più suolo possibile prima dell’entrata in vigore della legge, in modo da aggiudicarsi un ‘bonus’ da sfruttare dopo l’approvazione. Va ricordato che il testo iniziale era del governo, quindi già frutto di una ‘sintesi’ politica, e che i successivi peggioramenti sono voluti dalla stessa maggioranza“.

Fosse solo questo. Sono stati infatti presentati 205 sub-emendamenti che potrebbero ulteriormente peggiorare il disegno di legge. Come quello di Dorina Bianchi, ex Pd, ora Ncd, che chiede di non considerare consumo di suolo “gli ampliamenti fino al 20 per cento delle attività economiche esistenti”. Un facsimile della proposta di modifica di Paolo Russo e Giuseppina Castiello, di Forza Italia, che chiedono di escludere pure “le aree destinate ad attività di interesse strategico o di pubblica utilità, le aree destinate a infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, le aree situate all’interno del perimetro di insediamenti produttivi”.

L’urbanista: “Molti difetti, ma almeno porta innovazioni sul tema”
Questo ddl “non aggiusta la definizione di suolo della 152 del 2006 – spiega a ilfattoquotidiano.it Paolo Pieri, urbanista del Politecnico di Milano, autore di numerose pubblicazioni su consumo di suolo e dissesto idrogeologico – Continua ad attribuire troppo potere a ciò che dice il piano e non la realtà di fatto e non prende in considerazione la frammentazione amministrativa di questo Paese che ha tanto concorso assieme alla rendita a gettarci nel cemento”. In ogni caso – aggiunge Pieri – dopo anni di vuoti normativi e latitanza politica nel settore, è sempre meglio di niente. “È una versione che sicuramente ha ancora difetti, ma è anche una versione che porta delle grandi innovazioni nell’arido e arretrato panorama di questo Paese in tema di suolo”.

L’ex ministro Catania: “Resistenze politiche. Il testo rischia”
Il punto infatti è anche un altro: potrebbe infatti non venire mai approvato. “È stato limitato e aggiustato in più punti rendendolo meno forte nella difesa del suolo dalla cementificazione – spiega infatti a IlFatto.it l’ex ministro Mario Catania, ora parlamentare di Scelta Civica, anche lui autore di una delle proposte di legge confluite nel testo finale – però la questione più grave è un’altra: e cioè che questo testo non riuscirà comunque ad andare avanti. Solo alla Camera ci ha messo due anni e mezzo per arrivare in Aula, con degli stop di mesi di cui nessuno sapeva spiegare le ragioni. Forse verrà approvato alla Camera, ma poi, questa è la mia impressione sotto il profilo politico finirà in qualche cassetto del Senato e rimarrà inapprovato”. Perché? “Perché c’è una resistenza politica”. Trasversale. Dal Pd a Forza Italia.

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