Non è facile parlare di Roma. Non lo è perché se ci sei nato la tua parte più intima la amerà a prescindere, persino quando pare una mamma che ti tradisce o che non ti accoglie come si deve, mancando della cura.

Dev’essere allora proprio per questo amore che ha dell’immutabile che fa vedere male come le condizioni di vivibilità nella capitale d’Italia siano peggiorate, anno dopo anno, fino a raggiungere al degrado attuale.

Penso alle baracche che ci raccontava Pier Paolo Pasolini in Una vita violenta, alle baracche di oggi dove dopo quasi sessant’anni da quando sono state pubblicate quelle pagine, vivono ancora rom, o penso alle occupazioni, agli sgomberi che, senza consentire il passaggio da casa a casa, di fatto riconsegnano le famiglie alla strada. Penso alle famiglie che se fino a vent’anni fa vivevano un processo di crescita oggi sono destinate, tristemente, a un processo di involuzione, dove a quarant’anni si è costretti a vivere ancora con i genitori, o se perdi il lavoro perdi la casa e sei fortunato, allora, quando accanto hai una famiglia pronta ad accoglierti di nuovo.

Vedo anche una capitale d’Italia dove piove dentro a diversi autobus. Certo, verrebbe da aggiungere, quando non sono in un ritardo fuori dal comune o quando non saltano le corse; una città dove i secchioni della spazzatura spesso sembrano discariche a cielo aperto e per rendersene conto non occorre spingersi nei quartieri di periferia, è sufficiente passeggiare nei quartieri più vicini al centro; la sanità peggiora ai danni di chi deve curarsi, la “buona scuola”, cos’ha oggi di così buono? Basti accennare che neanche gli insegnanti riescono più ad avere l’entusiasmo di incontrare quegli alunni che molto probabilmente non vedranno più l’anno a seguire.

Non c’è continuità e delegare al privato, trasformare il pubblico in privato – purtroppo- sembra lo vogliano presentare sempre di più come l’unica soluzione per risolvere i problemi della città, come delle famiglie.

Insomma, mi rendo conto, che può essere giudicato un amore ostinato quello che ci lega a Roma, come a questo paese. Così parlare di questa capitale non è facile perché Roma, come tutte le grandi metropoli, la puoi osservare da una infinità differente di punti di vista, di realtà che la vivono e la abitano; guardarla a seconda di dove scegli di puntare la tua lente d’ingrandimento, scovandone orrori e bellezze.

Puoi persino decidere che ciò avvenga stando dalla parte del potere, o restando accanto ai più deboli.

Qualche anno fa ho scelto di osservare Roma mettendomi dalla parte di chi lotta, di chi non ha voce, delle famiglie che ogni giorno rischiano di restare senza un tetto sotto il quale vivere, senza una casa in cui rifugiarsi la sera, il pomeriggio. Dove stare male, dove stare bene.

Ho scelto il diritto alla casa perché come un giorno mi ha scritto Alex Zanotelli, in una mail che ci siamo scambiati, “Continuo a gridare al mondo che tutti abbiano il diritto ad avere una casa, piccola e modesta, ma che sia una home. Una home, perché persino una casa e basta per una vita dignitosa è (davvero) poco”.

Ho deciso per il diritto alla casa perché non esiste luogo più importante dove un bambino si possa formare – sperando sempre nel migliore dei modi – per diventare un uomo sereno. Lo reputo, forse, il luogo per eccellenza per una crescita dignitosa, così come credo sia anche la scuola. Ho sposato, felice, così le parole di Zanotelli.

Sto imparando che stare dalla parte dei più indigenti significa osservare la loro debolezza – scovare, qualche volta, furbizie che non ammetti, farti l’idea di chi deve essere aiutato per davvero rispetto a chi risponde al potere che non va incontro ai più poveri con la delinquenza che va a discapito di chi ha davvero bisogno -, ma significa anche cercare di capire la direzione che prende la fragilità delle persone, abbracciare le loro lotte, qualche volte commuoversi per un battaglia vinta, in altri casi conoscere nuove strade perché una lotta che sembrerebbe persa, possa trovare una nuova strada da percorrere.

Osservare la debolezza degli altri vuol dire persino riconoscere quanto siamo fragili noi stessi; maturare l’idea che trasformare la fragilità in risorse positive è tanto importante quanto necessario.

Ho scoperto così che c’è una grande bellezza a Roma che va ricercata, attesa, direi anche capita, perché non si confonda con la decadenza (verso cui io, comunque, provo un grande fascino): è la bellezza di un sorriso felice nel volto di chi ha fatto un percorso di lotta lungo due anni; è la bellezza di sentire qualcuno di nuovo sereno per aver abbandonato la paura di finire, un giorno, a dormire per strada, con il marito e un figlio; è la bellezza di aver visto qualcuno in difficoltà piangere e comprendere le difficoltà di un’altra famiglia in lotta.

Qualche giorno fa per me è stata persino la bellezza di andare a trovare una famiglia dentro una casa nuova, dopo un percorso di lotta causato da uno sfratto per morosità incolpevole. E’ stata soprattutto soffermarmi sulla bellezza di Sonia, moglie e madre, vederla seduta davanti a me e ad accompagnarla un sorriso timido, ma felice; Sonia, che in questa nuova casa ha iniziato di nuovo a dormire la notte.

Ha iniziato a dormire e ha perso le parole. “Cosa vuoi raccontarci di questa nuova sistemazione?”, le ho chiesto, “E cosa devo dire? Io so’ commossa”, mi ha risposto Sonia scegliendo la commozione come espressione. Le lacrime di una lotta vinta.

La storia della famiglia Sorrentino, come si è conclusa, potete ascoltarla dalle voci della famiglia stessa in questo video, e che non resti un caso unico e raro.

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