I giovani iscritti del partito laburista britannico lo vorrebbero alla guida dell’opposizione e, un giorno, a Downing Street come primo ministro. Ma contro Jeremy Corbyn, parlamentare per il seggio londinese di Islington e uomo forte della corsa verso la leadership del partito, è sceso in campo persino Tony Blair, ex premier e artefice di quella “Terza via”, fatta di guerra in Iraq e riforme del welfare e del mercato del lavoro, che ancora molti britannici maledicono di nascosto. Per Blair, a capo del governo del Regno Unito fra il 1997 e il 2007, il Labour “ha riscoperto come perdere” e Corbyn “porterebbe il Paese indietro e non avanti”. Con un richiamo forte, da parte del politico che ora si fa pagare tanti soldi per le sue conferenze in giro per il mondo, a quella scelta “scellerata” del partito fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, quando perse ben quattro elezioni politiche a causa di una virata troppo a sinistra.

Del resto, Blair proprio queste teme: che il partito che oggi viene talvolta sbeffeggiato per essere troppo appiattito sui conservatori al governo svolti verso una direzione a lui poco congeniale. Corbyn, che secondo un sondaggio YouGov per il Times di Rupert Murdoch vince sugli altri tre candidati alla leadership con il 43% delle preferenze degli elettori, per Blair è troppo pacifista – e infatti era uno degli oppositori forti dell’intervento in Iraq nel 2003 – e troppo rivoluzionario. E non è un caso che molti, soprattutto nella schiera dei sostenitori, lo avvicinino a Podemos o a Syriza. Nei suoi discorsi in vista del voto finale per scegliere il successore di Ed Miliband, dimessosi dopo il disastro alle politiche dello scorso 7 maggio, Corbyn ha auspicato il ritorno agli investimenti pubblici “per rilanciare il Paese” e soprattutto si è scagliato contro il grande spauracchio delle sinistre europee, quelle vere: l’austerity.

Il partito, va detto, pur non essendo di certo il cavallo di punta della sinistra mondiale, non ha mai ricevuto apertamente l’accusa di essere prono ai voleri della Troika europea. Complice anche il “felice isolazionismo” britannico, lo zoccolo duro del Labour ancora resiste con quei vecchi ideali fatti di intervento pubblico, sostegno al mondo del lavoro e ai sindacati, pacifismo e diritti civili. Quello zoccolo duro che ora, si teme, premerà fortemente sul bottone che potrebbe portare Corbyn a diventare il leader di una formazione in crisi per quanto riguarda il consenso ma assai vivace per quanto concerne l’attivismo dei suoi iscritti. “Dobbiamo costruire un’economia forte che funzioni con tutti e che non aumenti la povertà”, ha detto Corbyn in uno dei suoi discorsi degli ultimi giorni. “Chi ha ricchezza e grande reddito da condividere dovrà contribuire di più”, ha aggiunto, mandando nel panico blairiani e alta borghesia di un Regno Unito che, almeno stando ai dati del Pil e della disoccupazione, ha superato la crisi economica recente in pochissimo tempo.

Corbyn, 66 anni, nei giorni scorsi ha fatto un qualcosa che secondo analisti e commentatori ha accresciuto il favore da parte della base più giovane e socialista del partito: si è infatti scagliato contro la decisione della leadership provvisoria del Labour di astenersi di fronte al taglio al welfare di 12 miliardi di sterline, circa 17 miliardi di euro, annunciato dal cancelliere dello scacchiere (ministro dell’Economia) George Osborne. Una misura che porterebbe ancora più nella povertà tantissime famiglie che vivono grazie ai ‘benefit’, gli aiuti di Stato, e contro la quale chi guida provvisoriamente il partito di opposizione non pare aver mosso ciglio. Il sondaggio arrivato dopo questa rivolta, del resto, ha confermato il favore dei britannici, con Corbyn appunto al 43%, Andy Burnham (giovane e rampante) al 26%, Yvette Cooper al 20% e Liz Kendall, l’unica vera blairiana di ferro del gruppo di candidati, ferma all’11%. E nel round finale, sempre secondo il sondaggio, Corbyn vincerebbe su Burnham con il 53% delle preferenze, aprendo così la strada alla leadership a un uomo decisamente lontano dagli anni ruggenti della Cool Britannia.

Poco importa che Blair ora voglia fermare un Labour “che rischia di cadere dalla scogliera”. Certo, è vero, nel 1979 il partito considerato ora “troppo a sinistra” si scontrò con una Margaret Thatcher che poi trionfò e trasformò, nel bene e nel male, il regno di sua maestà. Ma David Cameron, o chi per lui, quando si rivoterà per il parlamento il 7 maggio del 2020, difficilmente avrà l’appeal che negli anni Ottanta ebbe la Lady di Ferro. E in una Europa sempre più alle prese – stando alle previsioni dei più – con problemi sociali e crisi economiche, è anche probabile che un Labour ‘alla Podemos’ possa veramente vincere ed entrare nuovamente a Downing Street e negli altri palazzi del potere sul Tamigi.

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