PLATEAU DE BEILLE – Nel giorno del non gradito ritorno di Lance Armstrong sui luoghi dei suoi delitti – oggi ha percorso in bicicletta la tappa che il Tour disputerà domani, da Muret a Rodez, domani farà lo stesso, anticipando un’altra volta il Tour di un giorno, da Mende a Valence – c’è chi ha lasciato la Grande Boucle per raccontare le caritatevoli pedalate dell’americano vincitore di sette Tour col trucco. L’iniziativa è partita dal cinquantenne ex calciatore inglese Geoff Thomas, che ha organizzato una due giorni “sulle strade del Tour” per raccogliere fondi a favore della sua fondazione “against leukaemia”. Chris Froome ha detto che appoggia questa iniziativa, ma deplora la presenza di Armstrong “perché ha fatto tanto male al ciclismo”. Thomas ha segnato il gol più importante della sua vita sconfiggendo la malattia nel 2005, dopo due anni di intense cure del professore Charlie Craddock. Per celebrare i dieci anni dalla guarigione, Geoff si è inventato questa avventura, “Le Tour-One day Ahead”, con l’intenzione di rastrellare un milione di sterline da devolvere al Centre for Clinical Haematology at the QE Hospital dove opera il professore che lo ha salvato.

Con Thomas ed Armstrong ci sono sinora dieci sottoscrittori che hanno versato ciascuno 50mila sterline per partecipare alla corsa. Due sono donne: Melissa Brand, 35 anni, che è Investment analyst della Prologis ed è una valente triatleta; Helen Russell, 39 anni, lavora come National officer per l’union Managers in Partnership. Anche lei è triatleta di ottimo livello: ha vinto la medaglia d’oro ai campionati mondiali di Duathlon sprint nel 2011, si è ripetuta ai campionati europei del 2012 e del 2013. Ha perso la madre, uccisa dal cancro e per questo ha due obiettivi: trovare più soldi che può per la Fondazione Geoff Thomas e sensibilizzare la gente sui diritti delle donne nello sport e mettere in piedi un Tour de France tutto femminile. La scelta di correre due tappe del Tour, sia pure sfasate di un giorno, nel Sud della Francia non è stata casuale. L’ha suggerita Armstrong. Perché l’ex corridore americano ha un appuntamento con la memoria, e con il ricordo di una tragedia che porta dentro il cuore. Sabato 18 luglio ricorre infatti il triste anniversario della morte di Fabio Casartelli, lo sventurato campione olimpico di Barcellona che fu suo compagno di squadra alla Motorola e che perse la vita vent’anni fa, il 18 luglio del 1995, in seguito ad un caduta, lungo la discesa del Colle di Portet-d’Aspet.

Successe intorno a mezzogiorno. Il gruppo rollava in discesa a più di ottanta all’ora durante il Tour del 1995, mentre disputava la quindicesima tappa da Saint-Girons a Cauterets (ci siamo arrivati ieri). D’un tratto, il plotone si frantuma: una caduta collettiva coinvolge Fabio che ancora non aveva venticinque anni, li avrebbe compiuti un mese dopo, il 16 agosto. Fabio non controlla più la bici, va a sbattere contro un paracarro con la testa. Non aveva il caschetto di protezione. Resta a terra, perde conoscenza. Gérard Porte, il medico del Tour, lo soccorre subito, ma capisce che la situazione è disperata. Dispone il trasporto in elicottero all’ospedale di Tarbes. Il cuore di Casartelli si ferma una, due, tre volte. La terza è fatale. Fabio muore alle due del pomeriggio, senza aver mai ripreso conoscenza. Il gruppo decide che il giorno dopo avrebbe pedalato a bassa andatura, dopo un minuto di silenzio, al via, senza disputare la tappa che venne neutralizzata dagli organizzatori. Al traguardo, la Motorola si schierò davanti al plotone, e Andrea Peron fu un po’ più avanti rispetto ai compagni di squadra. Il 21 luglio Armstrong vince la diciottesima tappa. Tagliando il traguardo solleva le dita della mano destra puntandole al cielo, e dedicando alla memoria di Fabio la vittoria.

Ci vollero altri otto anni e il sacrificio di un altro corridore, il russo Andrei Kivilev, prima che venisse reso obbligatorio l’uso del casco. Sul luogo dell’incidente c’è una stele che ricorda Fabio. Sopra la sua foto, i cinque anelli olimpici. Ogni volta che il Tour affronta quella strada, i corridori sostano un minuto, prima di riprendere la corsa. Con mestizia scrivo di Fabio. L’ho conosciuto ai Giochi di Barcellona: pareva destinato ad una carriera splendida, il trionfo olimpico rese felice suo padre Sergio, corridore dilettante che aveva trasmesso la sua passione al figlio. Era dal 1968 che un italiano non aveva conquistato il titolo olimpico: allora il campione fu Pierfrancesco Vianelli. Intanto, il Tour vero conclude il trittico pirenaico in piena tregenda.

Il dio del ciclismo s’infuria e scatena la tempesta sulla corsa: tuoni, lampi, pioggia, grandine. E freddo. Al traguardo del Plateau de Beille il termometro scenda da trentasei a tredici gradi. L’acqua torrenziale trasforma i pascoli attorno al villaggio d’arrivo in un mare di fango. La tormenta si abbatte sui corridori che sono in fuga, all’inizio sono in ventidue (compresi due compagni di Vincenzo Nibali, l’olandese Lieuwe Westra e il danese Jakob Fuglsang). Con loro, c’è Purito Rodriguez, che ha già vinto in Belgio a Huy. Ed è sua l’impresa. Arriva sotto la bufera d’acqua, la grandine gli scivola via come lacrime di ghiaccio. L’ultima salita è lunga quasi sedici chilometri. Fulgsang è secondo, il giovane Romain Bardet, terzo. Sua sorella Lisa, una bella biondina, lavora all’ufficio stampa del Tour. La notizia buona è che stavolta Nibali non ha perso nemmeno un secondo da Froome. Anzi, a metà arrampicata, dopo un attacco di Alberto Contador – una puntura di spillo durata un piccolo minuto – ci ha provato lui, allungando: un po’ per orgoglio, un po’ per autoterapia.

Se la forma migliora, può magari provare a vincere una tappa sulle Alpi. I sogni non li vieta nessuno. La sua fuitina finisce un chilometro dopo. Froome badava solo a marcare stretto Nairo Quintana che è scattato quattro volte. La maglia gialla lo ha stoppato con prepotenza. Al traguardo, Nibali si è tolto la soddisfazione di guadagnare due posizioni in classifica, ora è nono. Alla sua portata c’è un onorevole quinto posto, il podio è ben presidiato da Tejay Van Garderen e da Quintana, con un Alejandro Valverde quarto, tallonato ad un secondo da Geraint Thomas, alfiere di Froome, che ha due minuti e 43 secondi di vantaggio sul siciliano. Stoicamente ultimo, cioè Lanterne Rouge del Tour, Michael Matthews, 175esimo a due ore 34 minuti e 21 secondi dalla maglia gialla. Quanto alle multe e alle infrazioni, purtroppo ne ho commessa una io: stavo dietro la carovana pubblicitaria nell’ultima salita, avrei dovuto precederla. Ma un poliziotto mi ha bloccato a Tarascona, quella di Tartarino, e mi ha impedito di starle davanti. Tradito dall’entusiasmo della folla che ha sopportato allegramente la tempesta. Mi consolerò a tavola. Il Boeuf Cascon è la razza bovina del territorio, ed eccellente è il foie gras. Dal 2 al 6 settembre il tripudio dei golosi si concretizza col “Festival dei Sapori”, vetrina della regione Ariège.

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