La Bruxelles che con la spada di fuoco scaccia i reprobi greci dall’Eden europeo è uno scemenzaio a forma di laghetto in cui sguazzano le paperette dell’opportunismo.

Fisiognomicamente una troupe in cui si fronteggiano – da un lato – il gruppo capitanato dalla casalinga luterana bigotta Angela Merkel (quella per cui debito e peccato sono sinonimi) e – dall’altro – il duetto dei garruli ridanciani François Hollande e Matteo Renzi. In mezzo, a far da ponte tra ottusità e calcolo miserrimo, due icone del baratro morale in cui sono precipitate le istituzioni preposte a regolare e controllare i comportamenti pubblici europei e mondiali:

– la signora bob ton Christine Lagarde del Fmi; quella che, alla faccia dell’aria “Grandi Firme” incoronata da sciarpette vezzose, vergava in ginocchio la famosa lettera autografa del 17 giugno 2013 a Nicolas Sarkozy, trovata dagli investigatori del tribunale parigino che indagavano sugli arbitrati sospetti dell’allora ministro dell’economia a favore del “Berlusconi d’oltralpe” Bernard Tapie; definita da le Monde un “giuramento di fedeltà” (“je suis à tes côtes por te servir”, sono al tuo fianco per servirti);

– l’allegro compagnone Jean-Claude Junker, oggi presidente della Commissione Ue, che da premier del Lussemburgo trasformò il proprio staterello in un paradiso dell’evasione fiscale, di cui usufruirono ben 300 multinazionali.

Andiamo a esaminare – dunque – le ragioni del disastro determinato dalle scelte tattiche dei due gruppi. Partendo dallo semenzaio: al di là delle giaculatorie NeoLib, l’ascesa inarrestabile della Germania (e dei Paesi al traino) come economia esportatrice di beni, in particolare del settore metalmeccanico (auto e meccanica di precisione), è strettamente dipendente dalla svalutazione, che un tempo avremmo definita “competitiva”, del marco nel passaggio all’euro. Altro che flessibilizzazione o altre diavolerie per abbattere i costi del lavoro. Il successo Made in Germany è soprattutto un gioco valutario, che attira ricchezza nell’area beneficiata (anche se le svolte verso la reaganomic, operate già dall’uomo del putiniano Gazprom Gerhard Schröder, stanno creando una seconda Germania della marginalizzazione; non ancora troppo visibile e comunque marginale nella società soddisfatta dei 2/3 che vota Merkel).

Ma c’è un “ma”, all’insegna della scemenza, tipica del capitalismo finanziarizzato che non guarda più in là della punta del suo naso (il brevissimo periodo del guadagno borsistico): la stragrande quantità di esportazioni tedesche sono rivolte al mercato europeo, con una quota considerevole rappresentata dal quadrante meridionale. Sicché, promuovere in quell’area politiche di impoverimento sotto forma di austerity, significa ridurne radicalmente le capacità d’acquisto. Insomma, sul medio termine il classico “segare il ramo su cui si è seduti”: la politica punitiva che si rivolge contro se stessa. Appunto, ottusità.

Ma veniamo alla condiscendenza pelosa dell’opportunismo: a fronte della miopia fondamentalistica dei nordici, ci sarebbe la necessità che nell’Europa mediterranea sorgessero voci autorevoli; in grado di rettificare i vigenti diktat, facendo valere la forza degli interessi di lungo periodo virati a strategie politiche. Dunque un’inversione di tendenza di quanto avevo personalmente verificato anni fa nello scenario parziale della portualità continentale; in cui la superiore capacità dei porti atlantici (Northern Range) di fare massa critica in chiave lobbistica fa prevalere sistematicamente le scelte a loro gradite rispetto ai concorrenti dell’area Sud (Marsiglia, Barcellona, Genova) che si muovono in ordine sparso.

Dunque, vince chi aggrega. E nell’attuale scenario i Paesi che meglio potrebbero essere punto di riferimento di una contropolitica democratica, alternativa al Bruxelles Consensus, sono Francia e Italia; tra l’altro retti da leader che si proclamano socialdemocratici. Ma per modeste ragioni carrieristiche interne Renzi e Hollande si limitano al bacio della pantofola dei vincitori.

Intanto l’Europa muore. Se più per scemenza o miserabilità è difficile stabilire.

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