Dopo i magistrati – che hanno chiesto una stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni – la parola passa ai giornalisti. Per evitare possibili distorsioni nella pubblicazione delle intercettazioni “non bisogna usare l’accetta ma il bisturi” dice Anna Del Freo, segretario generale aggiunto vicario della Fnsi, su cui sono d’accordo molti dei direttori di testate e il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, sentiti oggi nelle audizioni in commissione Giustizia alla Camera, presieduta da Donatella Ferranti (Pd), sulla delega in materia di pubblicazione delle intercettazioni, contenuta nel ddl governativo di riforma del processo penale. Ma che, secondo indiscrezioni di stampa, potrebbe essere stralciato.

“Non è una questione che si può risolvere solo per legge – ha detto Mario Calabresi, direttore de La Stampa -. Un conto è il pettegolezzo, la comunicazione riservata che non ha niente a che fare con il processo, ma ci sono comunicazioni che pur senza rilevanza penale possono mettere in luce comportamenti che l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere. Per evitare distorsioni deve esserci un forte richiamo alla deontologia professionale dei giornalisti da parte dell’Ordine, ma anche una forte selezione sugli atti da parte del magistrato”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Marco Lillo, capo redattore de Il Fatto Quotidiano. “La prima cosa è che gli avvocati avrebbero a disposizione gli atti per esigenza di difesa e questo in altre situazioni per esempio in Calciopoli ha permesso, mediante la pubblicazione di atti non contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare, ai cittadini, all’opinione pubblica e alla giustizia sportiva di farsi un’idea più completa del caso. Per quanto riguarda i casi di lesa privacy bisogna ricordar che sono una trentina in in più venti anni e quindi la verità è che non si interviene per tutelare la privacy cittadini ma quella dei potenti”. “Nessuno invoca invece la privacy per le conferenze stampa” che ricorda i casi di stranieri accusati di stupro e poi prosciolti. Inoltre “sono contrario a cambiare le sanzioni blande esistenti oggi con le sanzioni pecuniarie perché è evidente che un editore come la famiglia Berlusconi potrebbe pubblicare e pagare per l’intercettazione Fassino-Consorte alla vigilia delle elezioni mentre un editore  come Il Fatto che all’inizio aveva capitale di 700mila potrebbe pubblicare al massimo sette intercettazioni e poi chiudere. Non potrebbe resistere”. Secondo Lillo “creare un sistema nel quale un centinaio di persone hanno in mano gli altri potrebbero dare vita a un mercato parallelo delle informazioni e in un paese come come l’italia servizi deviati, macchine del fango e dossier illeciti non è consigliabile”. Infine la proposta di Pignatone e Bruti – pubblicazione della solo ordinanza di custodia cautelare –  “è pericolosa perché si crea un mercato informazioni e perché si impedisce alla stampa di controllare il lavoro della magistratura”. Pignatone ha citato l’esempio del caso Totti sostenendo che con le nuove regole il nome non sarebbe stato pubblicato, “ma proprio questo è l’esempio perfettto per dire che pignatone sbaglia. Non sono affatto convinto che non sia il caso fare indagini: è un mio diritto di critica, mio diritto di cittadino riportare anche quello che per la magistratura non penalmente rilevante ma è importante che si sappia”.

Maurizio Belpietro, direttore di Libero, ha ricordato che in 25 anni di esperienza alla guida di un quotidiano gli “sono passate sotto le mani tante frasi e le ho sempre pubblicate, perché pur non essendo notizie di reato erano notizie, spesso da prima pagina”. La responsabilità “non va attribuita solo ai giornalisti ma anche i magistrati. Chi ha la tutela delle indagini è bene intervenga per fermarne la diffusione”. Secondo Luigi Vicinanza, direttore de L’Espresso, “noi giornalisti quando riceviamo questi atti contenenti le intercettazioni così come trascritte dall’autorità giudiziaria non possiamo fare altro che pubblicarli, secondo i principi stabiliti dalla Cassazione, quelli di verità, rilevanza sociale e continenza del racconto”.

C’è invece “un imbarbarimento in atto”, nella pubblicazione delle intercettazioni, per il direttore di Panorama Giorgio Mulè: “In genere sono i magistrati, i loro collaboratori o gli avvocati a offrire ai giornalisti materiali interessanti dal punto di vista giornalistico, succosi, ma assolutamente irrilevanti dal punto di vista penale – ha spiegato -. Vi è all’evidenza da parte dei giornalisti una fuga dalle proprie responsabilità”. E ha citato come ultimo esempio “quello riguardo il calcio scommesse. L’agenzia Ansa ha riportato conversazioni inserite nel provvedimento cautelare sottolineando che si trattava di telefonate fra soggetti non indagati in cui si parla di altri soggetti non indagati. Ovviamente sono notizie irrilevanti penalmente come dice il giudice, presentate però con la solita formula ‘è agli atti dell’inchiesta’”.

Infine, per Anna Del Freo nella legislazione sulle intercettazioni “stabilire pene come il carcere non avrebbe senso e in un contesto economico come quello di adesso, le sanzioni pecuniarie ci metterebbero nelle mani di editori che non hanno più neanche liquidità per farvi fronte, quindi l’input sarebbe di andare ‘piatti’ nel trattare certi temi”. Un giornalista “che ha un notizia e non la pubblica è un cattivo giornalista, il faro a guidarlo deve essere l’interesse pubblico”, ha ribadito il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino. L’Odg “contro gli abusi ha la possibilità di intervenire, e lo fa. Non siamo disposti ad accettare chi si trasforma in buca delle lettere, pubblicando atti senza interesse pubblico”.

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