C’è qualcuno che aspettava la legge istitutiva dei delitti contro l’ambiente nel codice penale con la stessa ansia con cui era attesa dalla larga maggioranza delle associazioni ambientaliste del paese, nonché dagli uomini e dalle donne per cui l’ambiente è un bene serio, che merita, quindi, una tutela altrettanto seria: si chiama “getto pericoloso di cose”.

E’ un reato, una contravvenzione più precisamente, previsto dal codice penale, all’art. 674, e si applica a “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”.

E’ un illecito che non nasce proprio come un reato ambientale nel senso odierno del concetto, non foss’altro perché il nostro codice è del 1930.

Ciononostante, è una fattispecie che, da tempo, è stata sottoposta a un autentico stress da superlavoro da parte di magistrati che, dovendo doverosamente reprimere i fenomeni di inquinamento ambientale più variegati e non avendo a disposizione strumenti normativi, ossia figure di reato, particolarmente adeguati, si acconciavano a fare le nozze con i fichi secchi, come usa dire: in mancanza di meglio, contestavano a ripetizione il povero getto pericoloso.

Si è così assistito al curioso spettacolo di processi penali di notevolissima rilevanza sociale e “politica” imbastiti fondamentalmente su questa versatile quanto “ridotta” fattispecie di reato.

Due su tutti: il giudizio per le onde elettromagnetiche di Radio Vaticana, già passato in giudicato (con ovvia sentenza di prescrizione), e quello per le emissioni di polvere di carbone della centrale termoelettrica Enel di Brindisi – Cerano, tuttora in corso innanzi al Tribunale di Brindisi.

Contestualmente, la stessa contravvenzione veniva usata in caso di fatti come le emissioni di odore di caffè bruciato da una torrefazione a ora di pranzo o addirittura il lancio di cicche di sigarette nel balcone sottostante.

Questo illecito, in pratica, era diventato una sorta di “Zelig” del nostro ordinamento penale.

La chicca finale di questa storia è, però, costituita dall’“apparato sanzionatorio”, si fa per dire, previsto da questa proteiforme figura di reato: l’arresto fino a un mese o l’ammenda fino a euro 206.

Fino a ieri, anche (e, in molti casi, soprattutto) a questo draconiano strumento repressivo erano affidate le sorti dell’ordinaria tutela penale dell’ambiente italico. Giusto per dare un’idea del livello di fondatezza degli alti lai che levano ancora, imperterriti, coloro che si stracciano le vesti per il presunto peggioramento del quadro di tutela che costituirebbe la legge approvata ieri.

Dal giorno in cui quest’ultima entrerà in vigore, la magistratura, in presenza di condotte comportanti una compromissione di una matrice ambientale, potrà concedere il meritato riposto all’art. 674 c.p. e contestare il più adeguato e, soprattutto, serio delitto di inquinamento ambientale, senza che nessuno potrà legittimamente eccepire, a sua discolpa, la presenza di alcuna autorizzazione amministrativa; per l’elementare ragione che nel nostro ordinamento, come in qualsiasi ordinamento civile, non esiste una “licenza di inquinare” o, comunque, di delinquere.

L’attuazione di questa legge non sarà operazione semplice né indolore, per varie ragioni; ne sono perfettamente consapevoli anche i suoi sostenitori (almeno quelli più avveduti).

La prima ragione è proprio la presenza in questo provvedimento di criticità, anche importanti, che non si è mai negata (a partire, per quel che può rilevare, da chi scrive). Per provare a superarle occorrerà un lavoro comune dei giuristi e degli studiosi di altre branche del sapere, a partire da quelle scientifiche; perché, fermi restando i sacrosanti principi di garanzia del nostro ordinamento penale, si fornisca un contenuto quanto più preciso e attendibile di concetti, necessariamente “aperti”, come “compromissione”, “deterioramento”, “alterazione” previsti nell’articolato.

Un contenuto in grado di garantire elevati livelli di tutela dell’acqua, dell’aria, del suolo e del sottosuolo.

Così come non dovrà considerarsi finito il lavoro prezioso della cittadinanza “ecosensibile” e attiva che tanto merito civile si è conquistata nel risultato finale di ieri. Dal giorno in cui la legge entrerà in vigore, bisognerà monitorarla, per individuare tempestivamente i problemi che dovessero emergere realmente nell’applicazione pratica e “segnalarli” di nuovo al soggetto istituzionalmente preposto a risolverli: il legislatore.

Un provvedimento legislativo non è scritto sulle tavole della legge: quando ci si renda conto che non funziona, lo si può e lo si deve cambiare. Questo deve valere anche e soprattutto in materia di difesa del bene ambiente. Un bene che, comunque, da ieri, in questo Paese è diventato un po’ più serio. Per questo, questo Paese è un po’ meno incivile.

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