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Pedofilia in Rete, mobilitare gli utenti è un’impresa. L’esperienza diretta di una blogger: “Se non avessi 30mila fan…”

"La pagina in questione menzionava i bambini e atti sessuali espliciti. Si parla di pedofilia, quindi, in teoria, dovrebbe essere rimossa subito - scrive Elisa D'Ospina - Decido di pubblicare una foto in cui denuncio l'esistenza di essa e chiedo a tutti i miei contatti di segnalarla..."

di Elisa D'Ospina

Succede tutto in pochi istanti. Sei su facebook, ti segnalano una pagina a dir poco imbarazzante, parte la prima segnalazione. Chi ne ha già fatte di segnalazioni sa benissimo che non è così semplice che il social elimini la pagina definitivamente.

In questo caso la pagina in questione menziona i bambini e atti sessuali espliciti, si parla di pedofilia, quindi, in teoria, dovrebbe essere rimossa subito. Decido di pubblicare una foto in cui denuncio l’esistenza di essa e chiedo a tutti i miei contatti di segnalarla. Partono centinaia di segnalazioni di persone indignate che riversano l’amarezza commentando lo screenshot di ciò che stiamo andando a denunciare. Iniziano i messaggi privati:” Che possiamo fare?” – “Questo è un pedofilo” – “Ho un amico nella polizia postale vediamo che succede”. Grazie all’aiuto di tutti in poche ore quella pagina sparisce. Sospiro di sollievo, ogni tanto anche in Italia le cose funzionano.

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Passano un paio di ore che ricevo un messaggio su instagram “Il fenomeno ha riaperto la pagina”. Proprio così: poche ore sono passate e il tizio in questione è tornato attivo. Con lui dopo qualche minuto decine di seguaci cliccano il famoso “like” e appaiono diversi commenti di chi conosceva la pagina precedente incredulo che possa essere ancora lì a farne un’altra insultando i neonati.
Decido di fare il secondo screenshot e chiamo in contemporanea la Polizia Postale di Roma. Racconto la vicenda e mi chiedono di inviare le segnalazione e il materiale a mia disposizione. “Vedremo di far chiudere quanto prima questa pagina, se ho bisogno di altro la disturberò ancora” mi risponde al telefono la poliziotta “No, non avete capito, dovete metterlo via e buttare le chiavi” rispondo io alterata riferendomi al soggetto che crea questo scempio.

Sì perché in questo Paese se non sei preso in flagranza di reato non ti succede niente (anche dopo alle volte non succede niente, ma questa è un’altra storia). Un’ora dopo anche la seconda pagina era chiusa. La domanda sorge spontanea: dal momento in cui dalle segnalazioni inviate Facebook risponde che determinate pagine sono conformi agli standard della community, come ci si può tutelare? Una foto di nudo è rimossa all’istante una pagina che istiga all’odio o alla violenza no. Peggio, come in questo caso, una pagina che discrimina i neonati. Forse caro Facebook c’è qualcosa da migliorare nella tua gestione, se non per noi adulti, fallo per i milioni di ragazzi che giornalmente visitano e vivono il tuo social.

Queste due pagine rimosse sono solo due appunto delle centinaia di pagine che andrebbero chiuse. Eppure sono lì, con insulti a bambini down, persone in sovrappeso, incitando all’odio, al bullismo alla violenza. Al punto 3 (sicurezza) del contratto di Facebook appare questo: “Ci impegniamo al massimo per fare in modo che Facebook sia un sito sicuro, ma non possiamo garantirlo. Abbiamo bisogno che gli utenti contribuiscano a tutelare la sicurezza di Facebook”. Tra i vari punti ci sono : – non cercare di ottenere informazioni di accesso o di accedere ad account di altri utenti; – non denigrare, intimidire o infastidire altri utenti; -non pubblicare contenuti minatori, pornografici, con incitazioni all’odio o alla violenza o con immagini di nudo o di violenza forte o gratuita. Allora perché Facebook ci risponde che determinate pagine sono conformi allo standard della comunità?

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