Sequenze che hanno impressionato la memoria, stimolando l’inevitabile curiosità. Mostrate in anteprima assoluta lo scorso dicembre a Sorrento alle Giornate Professionali di Cinema, avevano lasciato a bocca aperta gli astanti, seppur addetti ai lavori. Era un chiaro test, giacché i vertici di Rai Cinema non annunciarono l’identità del filmato, montato ad hoc per l’occasione.

Oggi, con la consacrazione al concorso del Festival di Cannes 2015 che ha “fatto proprio” Il Racconto dei Racconti, il suo contorno è pressoché noto: il tam tam promozionale del nuovo film di Matteo Garrone si espone capillarmente ai social network e al web in generale non tradendone le aspettative da kolossal favoloso. E la locandina ufficiale la dice tutta sullo studio approfondito del marketing per evidenziare l’anima favoleggiante/immaginifica dell’ottavo lungo del regista romano, che da raffinato pittore avrà certamente detto “la sua” sull’ensamble compositivo e cromatico del poster.

Garrone parla con pochissimi, si concede almeno al mensile Ciak di maggio, in uscita in questi giorni, sbriciolando come suo “riferimento Il Trono di Spade. Sesso, magia, fango”. Dice di non interessarsi alle etichette (un film-fiaba?) e che il suo è “un film è per tutti, per adulti, per appassionarti, sorprenderti e farti piangere, perché è questo il cinema”. Il regista temeva più la macchina produttiva che la regia ma dice che spera “come nelle fiabe, di aver dominato il drago”. Cosa, come e perché anticipare elementi esplicativi su un “oggetto” così lontano dal mondo reale, così opposto a quel suo Terra di mezzo (l’esordio del 1997) ma paradossalmente ravvicinato all’omonima notazione di tolkeniana natura? Che brutto schematizzare un Sogno cinematografico di questa portata a un “fantasy/fiaba”. Eppure suona inevitabile nel tentativo di avvicinare una pellicola per la quale Matteo ha dato tutto se stesso, e non solo producendosi.

Quel senso di inadeguatezza (di morettiana derivazione?) da sempre lo pervade, lui così timido e riservato, lui di indole così opposta al collega e a Cannes da anni competitor Sorrentino. Non è stato facile mettere in piedi un progetto monumentale come Tale of Tales, nonostante due Gran Prix a Cannes, nonostante Gomorra. Nelle poche righe di presentazione scritta alla stampa generica Garrone scrive: “Ho scelto di avvicinarmi al mondo di Basile perché ho ritrovato nelle sue fiabe quella commistione fra reale e fantastico che ha sempre caratterizzato la mia ricerca artistica. Le storie raccontate ne Il Racconto dei Racconti descrivono un mondo in cui sono riassunti gli opposti della vita: l’ordinario e lo straordinario, il magico e il quotidiano, il regale e lo scurrile, il terribile e il soave”.

Servono memoria e fiducia, entrambe applicate al talento. Dello scrittore “favolista” campano Giambattista Basile (1566-1632) da cui Garrone estrae la sua primordiale materia immaginifica per il film solo gli specialisti si sono (finora) occupati. Personaggio racchiuso nei misteri cortigiani, convinto che aggrapparsi al linguaggio delle fiabe – ipertestualizzate con sapiente profezia – fosse un dispositivo di rottura, di palesata schizofrenia tipicamente barocca. Già, il senso di abbondanza, di accumulo, di follia. E l’esaltazione dei freak: la quantità in cui questi sono presenti nel cinema di Garrone giustifica con esauriente ragionevolezza l’orientamento del regista di Reality a imbarcarsi nell’adattamento de Lu cunto de li cunti ovvero lo tratteniemento de peccerille, scritto da Basile tra il 1634 e il 1636 a Napoli.

Da un punto di vista squisitamente cinematografico, l’entità-kolossal non dà spago ai dubbi: coprodotto tra Italia (Garrone con Rai Cinema), Francia (Jean Labadie) e Gran Bretagna (Jeremy Thomas) racchiude i top talent dell’artigianato mondiale, dal direttore della fotografia di Cronenberg Peter Suschitzky al plurioscarizzato Alexandre Desplat sulle musiche. Ma anche, naturalmente, gli italici fidati compagni di viaggio: da Marco Spoletini al montaggio fino – ab origine – agli amici sceneggiatori Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e “l’esordiente in screenwriting” Edoardo Albinati. E se tutto ciò che sta dietro lo schermo stuzzica gli appetiti di qualità, quanto sta davanti e dentro allo schermo provoca appetiti insaziabili al mondo mediatico e alla massa avida di glamour. Perché Hollywood e una buona “Europa attoriale” non si sono sottratti dall’entrata nel meta-racconto garroniano.

Locandina alla mano: se al centro troneggia la messicana hollywoodiana Salma Hayek (Regina nell’episodio La Regina), ai suoi fianchi si perdono gli occhi azzurri del francese Vincent Cassel (Re nell’episodio Le due vecchie) e quelli meno aitanti ma di non minor talento del british Toby Jones (Re nell’episodio La pulce). Spogliata da rediviva Eva nel Paradiso terrestre ci osserva (sempre dal poster) la giovane inglese Stacy Martin: l’avevamo lasciata da giovane protagonista di Nymphomaniac di Lars von Trier per ritrovarla senza veli nei panni della Giovane Dora (episodio Le due vecchie). E poi il grande John C. Reilly (Re nell’episodio La regina), i gemelli Christian e Jonah Lees (inquietanti figure di albini) e i “nostrani” Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Renato Scarpa e Laura Pizzirani, giusto per citare i più noti nomi tricolore e non presenti in locandina.

Difficile enunciare cosa realmente aspettarsi da Il Racconto dei Racconti: l’unica certezza è che spaccherà, tanto dal gigantesco schermo del Gran Theatre Lumiere dove sarà presentato in anteprima mondiale quanto i giudizi di critica e pubblico nel mondo. Nelle sale italiane dal 14 maggio per 01 Distribution.

Il trailer de Il Racconto dei Racconti

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