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Le pensioni a rischio dell’Inps: se 66 anni (e 7 mesi) vi sembran pochi

Le pensioni a rischio dell’Inps: se 66 anni (e 7 mesi) vi sembran pochi
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Una delle cose più indegne che da anni si continua a fare sulle pagine dei giornali e in tv è il terrorismo contro i pensionati. Quelli in essere: i conti dell’Inps non ce la fanno, dobbiamo tagliare le vostre pensioni. E quelli a venire, le giovani (e distratte) generazioni che le pensioni dovrebbero un giorno riscuoterle pure loro: i soldi non ci sono, chissà se l’avrete mai. Per questo, si tagliano i trattamenti e si alza l’età pensionabile. Nel giro di qualche tempo, in base alla famosa legge Fornero, tutti in pensione a 66 anni e 7 mesi.

Per carità, che le accresciute aspettative di vita richiedano un adeguamento della soglia pensionistica è fuori discussione. Ma il modo in cui si dice la cosa, le altre cose che invece non si dicono e, soprattuto, le riforme dell’Inps che non si fanno, continuano a gridare vendetta.

Per esempio, chiedere a tutti in maniera indiscriminata di andare in pensione a oltre 66 anni significa chiudere gli occhi di fronte alla cruda realtà che pure andrebbe considerata nelle sue sfaccettature. Sessantasei anni per un giornalista o un impiegato pubblico sono certamente poca cosa. Ma immaginare, come hanno fatto l’ex ministro Elsa Fornero, il suo dante causa Mario Monti e come continua a fare il nuovo presidente dell’Inps Tito Boeri, che un carpentiere a 66 anni possa tranquillamente salire a montare strutture al ventesimo piano di un palazzo in costruzione o che un manovale possa trasportare carichi di 60-80 chili da una impalcatura all’altra significa non avere senso della misura o aver perso quello della realtà. Forse.

Perché una cosa nel frattempo è sicura: lo smarrimento del senso della politica. Il terrorismo delle cifre contro le vecchie e le giovani generazioni si basano infatti sull’opacità dei ragionamenti che si fanno sull’Inps, ente previdenziale sulla carta, ma nei decenni trasformato dai politici in un grande carrozzone assistenziale che, invece di limitarsi a utilizzare i contributi dei lavoratori per i trattamenti previdenziali, è stato utilizzato per finanziarie voci che niente hanno a che fare con le pensioni. La cassa integrazione, per esempio, erogata per assistere i lavoratori espulsi dal processo produttivo a causa di crisi e ristrutturazioni (molte volte truffaldine) industriali, cosa hanno a che fare con la previdenza? E i trattamenti di invalidità, maternità, malattia e le altre, simili, costosissime voci?

Non hanno niente a che vedere con le pensioni. E per questo dovrebbero essere pagate dallo Stato in altro modo. Invece, finisce tutto in un grande calderone che i lavoratori finanziano per assicurarsi una vecchiaia serena e che i politici utilizzano come cassaforte da saccheggiare per altri scopi. Il problema è che queste voci valgono decine di miliardi di euro e che mettono davvero, esse e non i trattamenti pensionistici, a rischio i bilanci dell’Inps.

Ma questo Boeri non lo dice, preferisce lanciare allarmi e ipotizzare ricalcoli degli assegni al ribasso. Tanto, con la politica impegnata a intrallazzare in scandali e inutili riforme, chi glielo può impedire?

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