Denim couture: è questa la tendenza che da qualche anno imperversa sulle passerelle delle grandi capitali della moda. Il tessuto che prima rappresentava una divisa da lavoro si nobilita e diventa materia di sperimentazione per le griffe, che lo trasformano in tenuta ideale per ogni occasione. Chi dell’arte di lavorare il jeans ha sempre creduto è Compagnia del denim, che unisce l’esperienza degli artigiani alla passione di Alessandro Marchesi, direttore creativo di 2W2M il marchio che raggruppa la linea maschile “Two men in the world” e quella femminile “Two women in the world”.

Come nasce la vostra storia?
Io ho lavorato in aziende importanti del mondo della moda, poi ho avuto modo di entrare in quest’aziendina che aveva delle maestranze molto buone, da lì abbiamo iniziato a fare un pacchettino molto piccolo di denim, ma in un momento in cui le griffe avevano bisogno di qualcuno che producesse per loro. Le zone dove si produce il jeans sono la zona del veneto e quella del centro-italia. Noi facciamo un jeans che ha una sua cultura, ma con un occhio all’aspetto estetico, per cui con delle caratteristiche adatte a una fascia di prodotto alta.

I vostri capi vengono prodotti in uno dei distretti tessili più all’avanguardia in Italia, che spesso viene chiamato “Jeans Valley”. Quanto è importante questo fattore per un’azienda come la vostra?
Noi siamo molto legati al made in Italy; addirittura lo chiamiamo made in Marche, perché è fatto tutto in questo distretto. In alcune etichette viene pure riportato che i capi provengono dalla Jeans Valley. Non sarebbe giusto portare fuori la produzione perché ha delle fasi di lavorazione molto ampie, dalla ricerca del tessuto alla cucitura, ai fili. Fosse prodotto all’estero non riuscirei mai a riportare in Italia un prodotto curato come vorrei, con delle nuances che riesci a ottenere solo se segui tutte le fasi della lavorazione. Io vado due volte al giorno in lavanderia durante la preparazione della collezione perché voglio vedere i capi ogni volta che finisce un determinato passaggio, perché voglio che il risultato finale sia esattamente quello deciso in partenza. È la cura di questi piccoli dettagli che ci permette di differenziarci dagli altri.

Il vostro marchio è il protagonista di una delle scene più importanti di “Sei mai stata sulla luna”, l’ultimo film di Paolo Genovese la cui protagonista è una giornalista di moda. Com’è stato organizzare una sfilata anche se per finzione?
È stata una vera emozione perché noi non abbiamo mai sfilato nella realtà. Il jeans è un mondo a parte, esula un po’ dalle grandi filosofie di stile, è più trattamento, immagine, prodotto. Però, anche se all’interno di un film, l’abbiamo vissuta come un momento molto reale, molto vero. È stato un pomeriggio intenso. Genovese è un professionista e in quanto tale giustamente è molto pignolo. Dalle due del pomeriggio abbiamo finito di girare alle otto di sera, perché – ad esempio – c’era una modella che non guardava nell’obiettivo come diceva lui.

Come si fa a rinnovarsi di continuo in un settore come il denim?
C’è sempre qualcosa di nuovo da inventarsi. La ricerca più che altro è data dalla lavanderia e dai fit, in continua evoluzione. Prima era tutto skinny, ora c’è il filone del boyfriend. C’è sempre tanto da lavorare, da trattare. La fantasia è l’ultimo dei problemi. In occasione del film abbiamo allargato la categoria merceologica perché abbiamo fatto delle felpe con inserti in denim, degli spolverini in denim, delle giacche sempre molto vissute, ogni capo racconta una storia. Poi abbiamo un archivio molto grande e quello aiuta. Ma l’ispirazione può venire anche dalla vita di tutti i giorni. Io in passato regalavo dei capi a dei muratori e piastrellisti, gli dicevo di usarli per lavoro e di ridarmeli dopo un anno e al lavaggio poi emergeva tutto quello che avevano vissuto. Si riuscirebbe a intuire la storia di una persona una volta lavato anche solo in base all’usura del pantalone. Questa è la mia più grande fonte di ispirazione. Così come il cinema, perché anche lì c’è da prendere spunto. Ad esempio nei film western ci sono dei pantaloni di una bellezza eccezionale. Il connubio moda-cinema è un tutt’uno. E lo stesso vale per la musica. Basta vedere i jeans portati da Bruce Springsteen, ci sono delle foto bellissime. E quindi tutto serve per prendere idee e per rinnovarsi.

Qual è il vostro target di riferimento?
Mia madre 80enne porta i nostri jeans così come le ragazze di vent’anni, anche perché abbiamo diversi modelli. Il target nostro va comunque dai 25-50.

Mercati di sbocco?
Se non si è forti in Italia difficilmente si riesce a essere forti all’estero. Noi abbiamo la fortuna di essere nei negozi più belli d’Italia e stiamo lavorando in tutt’Italia e all’estero, soprattutto in Russia, anche se è un momento particolare per tutto quello che sta succedendo. Poi lavoriamo in Svezia, negli Stati Uniti e adesso stiamo coprendo il Nord Europa e anche Germania e Francia.

Cosa avete in serbo per il futuro?
C’è stato un momento particolare della nostra storia in cui abbiamo avuto bisogno che entrasse un gruppo importante in società per supportarci. Siamo partiti producendo una decina di capi e nel giro di poche stagioni ci siamo ritrovati a dover produrne 20-25mila. Per fortuna è arrivata la Cris Conf, la compagnia del marchio Pinko. Loro non hanno voluto cambiare il nostro spirito. Hanno voluto che rimanessimo fedeli alla nostra artigianalità e grazie al loro contributo abbiamo avuto l’opportunità di aprire un negozio a Parigi. I progetti in cantiere sono tanti, ma di certo non abbandoneremo la nostra vocazione sartoriale.

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