I partiti che oggi lottizzano e si spartiscono fino all’ultima poltrona i posti disponibili in Rai? Tutti fuori. O meglio, tutti fuori tranne uno: quello del premier. Il piano messo a punto dal governo per riformare la tv pubblica sembra portare in questa direzione. Matteo Renzi, scrive La Repubblica, immagina una Rai guidata da “un vero amministratore delegato, con poteri ampi, come in qualunque azienda privata”. Una soluzione che, nella lettura che ne dà il quotidiano romano, porterebbe a “rottamare l’attuale gestione mista Cda-direttore generale, nel tentativo di allontanare i partiti dall’amministrazione diretta dell’azienda”. Tutto molto bello, ma la soluzione pensata da Palazzo Chigi solleva il dubbio che la medicina possa essere più pericolosa del male: il supermanager verrebbe nominato dal governo, che in questo modo prenderebbe il controllo della tv pubblica. Eppure non è passato troppo tempo dal 19 maggio dello scorso anno, quando in un’intervista a Piazzapulita Renzi sentenziava: “I partiti hanno già messo troppo bocca sulla Rai. Io invece non metterò mai il mio partito nelle condizioni di prendere decisioni sulla Rai”.

Dopo il riordino dei tg contenuto nel piano Gubitosi, Palazzo Chigi è al lavoro per riformare la governance in direzione di una maggiore razionalità aziendale. In base al piano in discussione, il supermanager ipotizzato dall’esecutivo risponderà in prima persona dei risultati conseguiti: “L’importante – è il virgolettato attribuito dal quotidiano romano a Renzi – è affidare a un amministratore la responsabilità di guidare l’azienda senza continuamente mediare con il Cda sulle scelte operative. Se non porta risultati viene cacciato via, ma deve poter decidere come fanno tutti i manager”. Una rivoluzione, per l’azienda televisiva di Stato: il premier immagina per il colosso televisivo pubblico, primo produttore culturale del Paese, una gestione aziendale, quindi razionale e quindi produttiva, lontana dalle logiche spartitorie che hanno dettato la sua gestione nei decenni passati. Fin qui tutto bene, anzi benissimo. Il problema nasce nel momento in cui si va a vedere chi dovrebbe nominare il supermanager: secondo il quotidiano di via Cristoforo Colombo, a sceglierlo dovrà essere il governo. Stop alla lottizzazione, quindi: in pratica, se andrà in porto la riforma immaginata da Renzi, il partito che vincerà le elezioni si prenderà la Rai, nominando un amministratore delegato che avrà il ruolo di plenipotenziario, braccio armato dell’esecutivo nella gestione della tv pubblica.

Chi controllerà il supermanager? A Palazzo Chigi se ne discute ancora e le idee non sono ancora molto chiare. Se il Movimento 5 Stelle chiede di rinunciare alla Commissione di Vigilanza, il premier è di parere opposto:  sarebbe inutile, suggerisce La Repubblica, cancellare la Vigilanza se poi le linee di indirizzo del servizio pubblico vengono affidate a un organismo parlamentare, quindi lottizzabile. Anzi, in base al disegno del governo, alla commissione sarà anche tolto il potere, conferitole dalla legge Gasparri, di indicare i nomi dei 9 componenti del Consiglio di amministrazione.

Chi li nominerà, quindi? Anche su questo punto Renzi non ha ancora deciso. Ma qui le cose si complicano. Le possibilità in campo sono due: potrebbe nascere un “Consiglio di sorveglianza” i cui membri sarebbero nominati da governo e Agcom, che a sua volta sceglierebbe i componenti del Cda (ridotto da 9 a 5 membri, come chiede il M5S); oppure la scelta dei membri del consiglio di amministrazione potrebbe essere affidata al Parlamento, con la rosa dei nomi che verrebbe indicata da “soggetti esterni come l’Agcom, la Conferenza Stato-Regioni, il Consiglio dei rettori, la Corte Costituzionale“. Ma la possibilità non convince Renzi perché cadrebbe la distinzione tra gestione (affidata al cda) e controllo (che dovrebbe essere esercitato dalle Camere).

Renzi, evidentemente, ha cambiato idea. “Fuori i partiti dalla Rai, mai più nomine politiche”, tuonava il premier il 19 maggio 2014 a Piazzapulita – non ho mai incontrato il presidente della Rai né il direttore generale, perché in passato i partiti hanno già messo troppo bocca sulla Rai. Io invece non metterò mai il mio partito nelle condizioni di prendere decisioni sulla Rai”. Solo due giorni prima, parlando ai militanti del Partito Democratico durante il pranzo popolare a Sassuolo in sostegno del candidato sindaco del centrosinistra Claudio Pistoni, il premier scandiva: “La Rai è nostra, è di tutti i cittadini, non è dei partiti e noi del Pd ne siamo fuori“.

Un campanello d’allarme lo aveva fatto suonare Milena Gabanelli. Il 26 febbraio la conduttrice di Report aveva illustrato sul Corriere della Sera la sua idea di riforma della Rai, ipotizzando per il servizio pubblico radiotelevisivo un governo dei “migliori” sul modello della Bbc (di cui aveva parlato lo stesso Renzi a giugno, ipotizzando la sostituzione della Commissione di Vigilanza con una Fondazione rappresentativa dei cittadini che pagano il canone), dove “tutti coloro che hanno cariche operative hanno avuto una importante esperienza televisiva di successo, e quindi sanno di cosa parlano quando devono valutare la nomina del Direttore Generale”. Intervistata dal Fatto Quotidiano il giorno successivo, la giornalista metteva in guardia: “Se è Renzi a scegliere ‘i migliori’, siamo fuori strada. Vuol dire che non ha letto come funziona il modello a cui tutti dicono di volersi ispirare”.

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