Shara Worden, ossia My Brightest Diamond, diamante via via più splendente della migliore scena pop internazionale d’oggi – postmoderna al postmoderno, indie sì, “ma con vocazione maggioritaria”-, si affaccia in Italia per un’unica data: il concerto è in programma martedì 17 febbraio alle 21 alla Salumeria della musica di Milano. Biglietto a 15 euro.

Polistrumentista sontuosa; amante delle collaborazioni meno ortodosse; vestale di un intrigante incontro tra la classica, la lirica e un sound elegante e contemporaneo che non disdegna l’hip-hop, l’artista americana presenterà il suo ultimo album, “This is my hand”. Uscito nello scorso settembre per Asthmatic Kitty Records, prodotto da lei stessa insieme al tastierista Zac Rae, fa nuovamente centro. Il disco ce la (ri)conduce infatti su binari più rock, con vaste infiltrazioni di elettronica; dal vivo Shara lo riplasma su un vortice di fiati, vibrafono e synth. Musica per grandi spazi, per arene e dancefloor o, perché no, per sonorizzare chiese o a ridosso di un caminetto. Musica per cercatori di pepite della bellezza, ovunque e comunque. Senza applausi o emozioni finti e pre-registrati.

Nata in Arkansas e cresciuta in giro per gli States, Shara viene da una famiglia di viaggiatori e musicisti evangelici. La musica, e la tensione soul, nel sangue. In seguito si è trasferita a New York, dove ha continuato a studiare canto lirico e composizione classica. Dopo un periodo nella band AwRY e dopo aver suonato con Sufjan Stevens, è arrivato nel 2006 l’esordio con la sigla My Brightest Diamond, “Bring Me The Workhorse”, seguito da A Thousand Sharks’ Teeth nel 2008 e da All Things Will Unwind nel 2011. Nel mezzo un fiume in piena di progetti: nel 2008 ha lavorato con Laurie Anderson; l’anno seguente è stata ospite nell’album dei Decemberists Hazards of Love, e poi in tour con la band; si è mescolata a Sua Maestà David Byrne nel concept Here Lies Love, e ha prestato il suo sfaccettato talento anche al servizio di Fat Boy Slim, Bon Iver e The Blind Boys of Alabama. Più di recente l’abbiamo vista al fianco di Matthew Barney e Jonathan Bepler nella fluviale cine-opera di 6 ore River of Fundament, girata nelle fabbriche di automobili di Detroit, fonte di ispirazione portante per This is my hand e il cerchio, multimediale, si chiude.

Quante altre musiciste potrebbero vantarsi di possedere e concepire, in ordine sparso: una devota rock band; una voce capace di intonare con nonchalance, manco fosse “Felicità” di Albano e Romina, la Terza Sinfonia di Górecki; un’opera barocca di proprio conio; una Marching band al Sundance Film Festival… E tutto questo in un mese. Per San Valentino, tre giorni dopo, regalate un bel Brightest Diamond.

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