Abbiamo superato la metà di questo Festival, e ormai possiamo dirlo in tutta onestà, senza il rischio di incorrere in pregiudizi. Il Sanremo marchiato Carlo Conti sta funzionando, alla grande. Nonostante Carlo Conti non abbia, sulla carta, azzeccato praticamente nulla. Ha messo su un cast al limite della querela. Ha scelto tre vallette che fanno rimpiangere Anna Falchi e Claudia Kohl (scherzavo). Ha scelto dei comici che fanno rimpiangere Cirilli (non scherzavo). Ha portato avanti le interviste come se stesse leggendo gli avvisi in Chiesa. Però funziona. Miracoli italiani.

Quanti di noi, io per dire, eravamo pronti a sparare a alzo zero. E quanti, io per dire, ci siamo sentiti spiazzati, salvo poi sparare a alzo zero. Insomma, ha vinto lui. E se tanto mi da tanto, temo, il punto debole di questo Festival potrebbe diventare quello che sulla carta era il suo punto di forza, la giuria degli esperti. Sto ovviamente giocando la carta del paradosso, perché sui nomi scelti da Conti per la giuria tutti siamo stati d’accordo, almeno per una volta, ottime scelte. Ci sono fior di professionisti del settore, una volta tanto, Claudio Cecchetto, Carlo Massarini, Massimo Bernardini, Andrea Mirò, Camila Raznovich, Marino Bartoletti, Paolo Beldì e Giovanni Veronesi. Una squadra ben equilibrata, non ci sono dubbi. C’è un talent scout indiscusso come Cecchetto, un grandissimo giornalista musicale come Massarini, lo storico della canzone italiana, Bartoletti, un esperto di televisione, perché il Festival è anche uno spettacolo, come Bernardini, poi ci sono due professionisti di musica e televisione, come Andrea Mirò e Paolo Beldì, e poi gli altri due, per dimostrare che in fondo in fondo, anche chi con la musica non c’entra una mazza ha modo di dire la sua. Tutto perfetto.

Ne parlo, come di consueto in questi giorni festivalieri, con una dei protagonisti, Andrea Mirò, già arrivata a Sanremo e pronta a finire nella gabbia della giuria in vista di questa sera, quando per la prima volta saranno anche loro a dire la propria e a determinare chi verrà eliminato, da una parte, e chi vincerà tra i giovani, dall’altra. In verità di questo non parliamo, perché entrambi non abbiamo capito proprio per filo e per segno come funzioni il regolamento.

Dovrebbe essere che la giuria degli esperti pesi per un terzo, con i restanti due terzi spartiti tra voti da casa e voto della Sala Stampa, ma nessuno dei due è disposto a metterci le mani sul fuoco. Mentre entrambi conveniamo che il compito del giurato non è da prendere alla leggera, nonostante si tratti, appunto di musica leggera. Mirò, del resto, ha vissuto il Festival in ogni suo aspetto. Ha partecipatro tra i Giovani, tra i Big, ha fatto parte della Giuria di Area Sanremo, è stata anche rappresentante del Festival nella giuria dell’Eurovision, ha diretto l‘orchestra (l’anno scorso il suo ciuffo d’oro è stato uno dei protagonisti indiscussi della kermesse), ora, dopo aver preso parte alla Giuria di Esperti gli manca di condurlo e di fare la valletta e siamo a posto.

Mirò, ovviamente, non può esprimere pareri sui concorrenti in gara, perché questo richiede il regolamento. Non gliene chiedo. Esprime invece un parare sul Festival in sé, dicendo che è la perfetta fotografia dello stato dell’arte. E dice pure che interpreterà il suo ruolo con la massima serietà, guardando solo alla musica, senza tenere conto di pressioni esterne né interne (l’anno scorso, andando fuori tema rispetto all’incontro con Mirò, Aldo Nove mi raccontò come la giuria guidata da Virzì scientemente decise di far fuori dal trio di finalisti Renga, rappresentante ai loro occhi del nazionalpopolare, facendo vincere poi Arisa, cosa che dimostra che Ferrero è così grazie all’aria della Liguria). Insomma, che sia la musica a parlare, potremmo riassume, il che, conoscendo i suoi gusti, non depone a favore di certi cantanti visti sul palco dell’Ariston, cosa che non può che farmi piacere. Buon lavoro a Mirò e al resto della giuria. Fatevi valere.

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