Nella prefazione del mio libro sul genovesissmo Bisagno, Enrico Pedemonte scrisse: «A New York il sindaco Bloomberg ha lasciato in eredità un piano che prevede colossali investimenti per rispondere al cambiamento climatico ridisegnando i confini della città: nuove spiagge, muraglie di protezione, un sostanziale ripensamento del rapporto tra la città e il mare. [… Quel sindaco ha voluto] adeguare la città alle sfide del futuro.» Qualcuno aveva giudicato questa eredità, nata anche sull’onda dell’emozione suscitata dall’uragano Sally, come la follia di un magnate smanioso di protagonismo. Invece, uno studio appena pubblicato dimostra – partendo dalla scoperta di alcuni dati storici, ancora inediti, di livello del mare a New York Harbor – la crescente minaccia delle mareggiate. E un articolo di pochi giorni fa annuncia che il punto di non ritorno della risalita dei mari è più vicino a noi di quanto ci si attendeva. Non sono due ciarlatani a parlare, ma gruppi di scienziati stimati a livello mondiale che pubblicano sulle massime riviste scientifiche. L’eredità di Bloomberg è quindi quella di un sindaco che si è comportato come un buon sindaco, un raro politico che tenta di prevedere e provvedere.

[Image from the BIG Team’s HUD proposal, http://www.rebuildbydesign.org/]
[Image from the BIG Team’s HUD proposal, http://www.rebuildbydesign.org/]

Una nota scientifica di 20 anni fa diceva che la rapida urbanizzazione del pianeta avrebbe prodotto in 20 anni una proliferazione di città costiere a rischio. Nel 2013 la Banca Mondiale ha puntualmente valutato che 3 fattori – cambiamento climatico, urbanizzazione e subsidenza – stanno mettendo seriamente a rischio questi insediamenti, stimando che le future perdite economiche, tra 20 o 30 anni, si conteranno in 52 miliardi di dollari all’anno. Quasi il 3% del Pil di un paese come l’Italia, quasi l’uno per mille di quello mondiale. Come se ogni anno 5 milioni di persone al mondo, di colpo, perdessero tutto.

Parlando di costo monetario del danno atteso, Guangzhou (Canton) in Cina è in testa alla classifica delle città più a rischio, seguita nell’ordine da Miami, New York, New Orleans, Mumbai, Nagoya, Tampa, Boston, Shenzen e Osaka al decimo posto. In termini di vulnerabilità, misurata in percentuale del proprio Pil, la prima è sempre Guangzhou, seguita da New Orleans; Guayaquil in Ecuador; Ho Chi Minh City in Vietnam; Abidjan in Costa d’Avorio; Zhanjing in Cina; Mumbai in India; Khulna in Bangladesh; Palembang in Indonesia e ancora Shenzen, come Guangzhou vicina a Hong Kong. Nella maggior parte di queste città, la fascia di popolazione più a rischio è quella povera, poiché la rapida urbanizzazione spinge la povera gente a insediarsi nei quartieri più vulnerabili, spesso nelle basse zone pianeggianti, lungo i corsi d’acqua a rischio di inondazione e sui pendii e le falesie franose.

Anche città portuali che in passato non sembravano vulnerabili sono tra quelle più esposte a un forte aumento del rischio entro la metà del secolo. A guidare la classifica sono Alessandria in Egitto, Barranquilla in Colombia, Napoli in Italia, Sapporo in Giappone e Santo Domingo nella Repubblica Dominicana. Tutte città che non hanno avuto, né hanno tuttora sindaci come Bloomberg. E probabilmente non li avranno mai.

C’è anche chi è scettico sulla opportunità di aumentare la resilienza di queste città, seguendo la strada intrapresa da Bloomberg a New York in pericolo. Per esempio, l’economista Stephane Hallegatte della stessa Banca Mondiale afferma: «Le difese costiere riducono il rischio delle alluvioni, ma hanno anche l’effetto di attrarre ulteriore immigrazione nelle aree protette. Ciò aumenta la densità della popolazione e anche i valori economici che sono ivi allocati. Perciò le opere di difesa mettono a rischio ancora più gente e molti più beni, sia in caso di inefficacia o inefficienza delle opere, sia quando gli eventi naturali superano le previsioni di progetto.» Non sono argomenti da trascurare, soprattutto se quelle difese non vengono migliorate con continuità e regolarità, per fare fronte alla crescita dei 3 fenomeni chiave (subsidenza, risalita del mare e frequenza di mareggiate e nubifragi). Alla fine, la dipendenza sempre più stretta dalle opere di difesa costiera potrebbe far crescere la vulnerabilità anziché farla diminuire. Ma possiamo delocalizzare Battery Park o Via Caracciolo?

 

→  Sostieni l’informazione libera: Abbonati rinnova il tuo abbonamento al Fatto Quotidiano

Articolo Precedente

Gigi D’Alessio sotto attacco dopo la frase sulla Terra dei fuochi: “Qui si muore”

next
Articolo Successivo

Terra dei Fuochi: Gigi D’Alessio, da oggi hai una responsabilità in più

next