La vigilia di Natale è entrato in vigore il trattato delle Nazioni Unite sul commercio internazionale di armi che vieta ogni esportazione bellica, di armi sia pesanti che leggere, verso Paesi che potrebbero usarle in violazione dei diritti umani. Un trattato “storico” che porta “responsabilità, controllo e trasparenza” nel mercato degli armamenti, come ha dichiarato nei giorni scorsi il Segretario Generlae delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.

Dalla Farnesina nemmeno una nota su questo storico risultato diplomatico. Un silenzio quasi imbarazzato. Forse perché per l’Italia, che pure ha un’ottima legislazione nazionale in materia fin dal 1990 (la legge 185), la applica in maniera piuttosto allegra. Il nostro Paese, infatti, esporta regolarmente armamenti – in particolare armi leggere – verso nazioni in guerra o note per i loro pessimi record in tema di diritti umani. Con il silenzio-assenso di un Parlamento che ormai da sei anni – come denuncia da tempo Rete Disarmo – non adempie al suo compito di esaminare le relazioni governative annuali sulle export militare.

Le più recenti relazioni, compresa l’ultima relativa al 2013, riportano autorizzazioni governative a esportazioni belliche difficilmente compatibili sia con la legge 185/90 che con il nuovo trattato internazionale. L’elenco dei destinatari dell’export bellico italiano comprende Paesi le cui forze di sicurezza governative, spesso impegnate in conflitti armati interni o internazionali, sono regolarmente accusate di sistematiche violazioni dei diritti umani dai principali organismi internazionali di monitoraggio, da Human Rights Watch ad Amnesty International, da Freedom House fino al Dipartimento di Stato americano

La ‘lista nera’ comprende Arabia Saudita (principale acquirente di armi italiane con quasi 300 milioni di export autorizzato nel 2013), Brasile (56 milioni), Pakistan (28), Indonesia (27), Filippine (23), Egitto (17), Messico (14), Zambia (13), Mauritania (12), India (12), Iraq (12), Turchia (11), Venezuela (8), Colombia (6), Qatar (5), Azerbaigian (3), Israele (2), Sudafrica (2), Thailandia (2), Bangladesh (1), Cina (1), Nigeria (0,7), Guatemala (0,5), Niger (0,5), Senegal (0,2).

“Se è stato un merito dell’intero Parlamento italiano aver promosso in tempi brevi e unanimemente la ratifica di questo trattato internazionale – commenta Giorgio Beretta, analista della Rete Italiana per il Disarmo – va però evidenziato che dal 2008 le nostre Camere non stanno esaminando le Relazioni governative sulle esportazioni di sistemi militari italiani, venendo meno al fondamentale compito di controllo dell’attività dell’esecutivo in una materia che ha rilevanti implicazioni sulla politica estera e di difesa del nostro paese. La nostra Rete rinnova pertanto la richiesta alle competenti commissioni parlamentare di riprendere l’esame delle relazioni governative e di dedicare la dovuta attenzione a tutta la materia delle esportazioni militari italiane aprendo il confronto con le sue associazioni e centri di ricerca che da anni pubblicano puntuali e dettagliate analisi”.

“Non va dimenticato – aggiunge Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio sulle Armi Leggere (Opal) di Brescia – che l’Italia è il principale esportatore mondiale di armi leggere che, come ha evidenziato il precedente segretario dell’Onu Kofi Annan, sono le vere armi di distruzione di massa del nostro tempo. L’entrata in vigore del Trattato internazionale deve perciò diventare l’occasione anche per il nostro Paese di definire strumenti di maggior controllo e trasparenza sulle esportazioni di queste armi: sono infatti molte le armi esportate anche dalla provincia di Brescia verso le zone di conflitto e a corpi di polizia e di pubblica sicurezza di governi autoritari e le cui violazioni dei diritti umani e civili sono tristemente note ed accertate”.

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