L’unica nota lieta, dello straziante (sin dal titolo) Un mondo da amare, è stata la decisione di Matteo Renzi di andare sì da Antonella Clerici ma non a La prova del cuoco: sarebbe stato difficile, in quel caso, scorgere differenze percettibili tra lui e una melanzana. Vuoi per le sempre più generose forme, vuoi per i sempre meno generosi contenuti. Il Presidente del Consiglio, in costante decrescita (non solo) nei sondaggi, aveva bisogno di un altro bagno nel nazionalpopolare e ha trovato consono il vestitino cucitogli addosso su misura da RaiUno, con uno speciale in prima serata che è parso per metà uno spin-off di Ti lascio una canzone e per l’altra una variante 2.0 dell’Istituto Luce di fascistissima memoria.

Lo spettacolo è stato vieppiù raggelante e l’unica voce vagamente contraria all’Expo, argomento teorico dell’adunanza, è stata quella di Ornella Vanoni. Per il resto canzoni deboli dei Modà (“Per avervi ho dovuto fare i patti col diavolo”, ha detto la Clerici: bei tempi quando ci si accordava col Demonio per avere l’anima di Robert Johnson). Lezioni noiosissime di Roberto Vecchioni. Frasi fatte, tacco 12 di Cristina Parodi (di gran lunga la cosa migliore del programma), nenie natalizie e uno share del 19.55%: 4 milioni e 72mila persone, tante ma comunque meno della seconda puntata di Senza identità su Canale 5. Nel mezzo, come un apostrofo rosa tra le parole “che” e “pena”, poco dopo le ventidue, lo spottone elettorale per Renzi. Teoricamente intervistato dai bambini. Per il presidente del Consiglio non è una novità: era già stato accolto da cori di “balilla” (incolpevoli) in Sicilia, non meno della statista Boschi che aveva ricevuto analogo trattamento dagli scolari della natìa Laterina. E non è nuova neanche l’idea di farsi intervistare dai bimbi. Era già accaduto con Papa Giovanni Paolo II, che aveva ricevuto domande sincere.   

“Usare i bambini” è pericolosissimo ed è accettabile unicamente se li si lascia liberi di essere se stessi: infantili, innocenti, buffi. Naturali. Due sere fa, però, davanti a Renzi c’erano bambini imbeccati dagli autori, che li avevano “dotati” di quesiti tristemente preparati. Vespa fingeva domande cattive (“Gli italiani quando potranno comprare una pizza in più?”). La Clerici ridacchiava alle pseudo-battute di Renzi. E lui, il Premier, esibiva tronfiamente la sua simpatia presunta e il suo ottimismo stantio. “Mettiamo da parte il pessimismo”. “L’Expo è un’occasione per voler bene all’Italia”. “No ai furbetti” (apprezzabile autocritica). Fino all’apice assoluto della sua visione politica: “È come se l’Italia non sapesse farsi i selfie”.

Un mix tra uno slogan di Tonino Guerra, un brano minore di Jovanotti e un brano qualsiasi dei Righeira. Un pensiero così elaborato che, dopo averlo pronunciato, Renzi si sarà verosimilmente dovuto riposare, giusto per controbilanciare l’immane sforzo neuronale. Nel frattempo i poveri bambini mettevano sempre più tenerezza (“Perché le riunioni di governo si chiamano di gabinetto?”), la regia mandava La traviata e la Clerici poneva domande irrinunciabili a Vespa: “Cosa ti faceva mangiare nonna Ida?”. Se Berlusconi avesse fatto anche solo un decimo di quanto hanno avuto il coraggio di imbastire Rai e Renzi, la “sinistra” avrebbe marciato su Roma. Significativa, in ogni caso, la performance (registrata) di Bocelli alle ore ventitré: “Nessun dorma”. Un’esortazione, più che un’esibizione. Purtroppo per lui, e per Renzi, dormivano però già tutti da un bel pezzo.

Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2014

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