Cultura

Decoded fashion 2014: “Ripensare al lusso ai tempi del digitale”

La fashion technology può migliorare l’esperienza d’acquisto, nonché agevolare la raccolta di dati utili per l’anticipazione dei trend. L’impatto della tecnologia, nel sistema moda, mantiene un’importanza fondamentale

di Virginia Ricci

Il futuro chiama? E la moda risponde, in una coralità di voci pronte a farsi sentire nel mezzo di un dibattito scottante per lo stile italiano. È accaduto sul palcoscenico di Decoded Fashion, manifestazione nata per analizzare il successo di un sempre più forte connubio fra moda e tecnologia. Lanciato a New York nel 2012 e sbarcato dopo pochi mesi a Londra, questo summit è da poco giunto in Italia nella sua seconda edizione milanese per affrontare così l’ancor più selettiva tematica del “Retail Everywhere, Everywhen, Everyhow”.

Indispensabile un’analisi della situazione italiana e dei suoi talenti emergenti che, per Jane Reeve (Amministratore delegato Camera della Moda di Milano) si sviluppano su un suolo ricco di storia e artigianalità, ma anche di frammentazione. Una situazione ben diversa da quella francese, forte di due solidi gruppi dominanti (il gruppo LVMH affiancato da Kering, ex Gucci Group) che, per molti, garantiscono un più forte sostegno economico. «La Camera della Moda può diventare una serra per i nuovi nomi, dare loro una sorta di luce artificiale per aiutarne la rapida crescita», ha spiegato Jane Reeve. «Sviluppare programmi di mentoring e tutoraggio da parte dei marchi più famosi permetterebbe inoltre ai più giovani di evitare errori già noti, usando la conoscenza e l’esperienza come una vera e propria valuta».

La differenza con il sistema britannico viene invece valutata da Barbara Franchin, Direttrice di ITS, fashion contest dedicato a giovani talenti, per la quale l’organizzazione di scuole costosissime garantisce però in Inghilterra un maggior inserimento del new designer nel mercato del lavoro: numerosi sono i collegamenti con istituzioni esterne e possibili finanziatori, attivi verso chi (anche non necessariamente inglese) voglia avviare il proprio marchio su suolo londinese. Utile anche l’opinione di Raffaello Napoleone, CEO di Pitti Immagine: «Il sistema fieristico è un trampolino importante per i marchi di tutto il mondo. Ma è indispensabile pensare anche a come i grandi nomi possano organizzare iniziative volte ad aiutare i più giovani, sviluppando ad esempio piattaforme dove queste due realtà possano incontrarsi insieme alle banche o eventuali finanziatori. La Toscana ha ad esempio una serie di programmi volti ad attrarre possibili investimenti esteri nella moda, così come in tutti gli altri settori nei quali questa regione è più esperta e ricercata».

Già, ma la tecnologia? Una prospettiva arriva da Federico Barbieri, vicepresidente Digital ed eBusiness per il gruppo Kering. «Nel lusso, la tecnologia non crea un cambiamento, ma lo segue. Quando è nato l’iPad tutti si sono adattati a questo nuovo device: adesso, è il momento di ripensare al lusso nei tempi del digitale. Dove la differenza sarà egualmente fatta dai dettagli che rendono unica ogni persona, certo non sempre corrispondenti ai classici “big data”, per categorizzare i clienti nella loro individualità. Senza dimenticare quanto negli ultimi vent’anni, fra rapidissimi cambiamenti tecnologici, la differenza generazionale sia notevolmente aumentata».

Dalle analisi di Intesa Sanpaolo (partner di Decoded Fashion e promotrice di Start-Up Initiative, piattaforma di accelerazione del Gruppo creata per sviluppare l’imprenditorialità tecnologica) si scopre poi come la fashion technology possa migliorare l’esperienza d’acquisto, nonché agevolare la raccolta di dati utili per l’anticipazione dei trend. L’impatto della tecnologia, nel sistema moda, mantiene un’importanza fondamentale: proprio quanto la nostra artigianalità, come dimostra un mercato straniero sempre più esigente nella richiesta della tanto ambita manifattura italiana (calzature al primo posto nell’ecommerce di articoli del settore). Senza considerare che l’acquisto online, praticato in Italia dal 6% della popolazione, arriva invece ben oltre al 40% in paesi come Finlandia, Germania, Inghilterra e Paesi Bassi. Ma per molte realtà italiane, l’ecommerce è ancora un miraggio. Un blocco che rallenta oggi l’offerta e non solo verso il mercato estero, considerando come, anche all’interno del paese, le vendite abbiano accumulato un deciso ritardo.

Martin Bertijsen, direttore retail per Google, porta poi qualche esempio originale: fra questi Kate Spade, celebre marchio americano che, a New York, ha inaugurato 4 vetrine di pura tecnologia in versione “dispenser” per vestiti acquistabili giorno e notte, da ordinare tramite video, osservar scorrere nella vetrina e ricevere a casa entro un’ora. Mentre Salvatore Ippolito, country manager di Twitter, dopo aver illustrato come l’incremento di tweet durante le settimane della moda sia arrivato in un anno al 42%, illustra l’innovazione di Topshop: che in un solo video, raccogliendo preferenze sulle nuove collezioni tramite tweet pubblicati proprio durante le fashion week, cancella la divisione fra lusso e digitale per creare una collezione preparata sull’analisi di questi big data.

Un’ultima virtuosa unione di tecnologia e stile la porta Constanza Cavalli Etro, fondatrice del Fashion Film Milano Festival: dimostrando come con video d’artista (sempre più spesso diffusi online) i marchi raccontino la dimensione dell’estetica attraverso piccoli racconti originali, veicolando collezioni in un mondo di pura emozionalità. Il modo perfetto per unire prodotto, arte, sentimento e… qualche milione di viewers.

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