Sono passati più di due anni da quando il presidente Barack Obama disse: “Gli Usa hanno fatto la storia”. Curiosity, il rover della Nasa che portato avanti esperimenti e ha fotografato la superficie di Marte, ha finalmente raggiunto il suo primo obiettivo: dopo due anni di cammino è giunto alle pendici del Monte Sharp, la misteriosa montagna che si trova al centro del grande cratere Gale, nel quale Curiosity è arrivata il 6 agosto 2012, e ora inizierà a risalirne le pendici per capirne le origini.

“Finalmente la missione di Curiosity entra nella sua fase più importante. Risalendo il Monte Sharp si inoltrerà in un tipo di ambiente mai visto prima, molto diverso dalle aree studiate finora”, ha spiegato Gian Gabriele Ori, geologo planetario e direttore della Scuola Internazionale di Scienze Planetarie (Irsps) dell’Università di Pescara. 

Dopo aver perlustrato e studiato approfonditamente l’area attorno al suo sito di ‘ammartaggio’ ed aver analizzato terreni e rocce incontrati lungo la sua strada, Curiosity – le cui scoperte sono state pubblicate su Science – inizia ora la sua vera missione. Il rover si trova al momento nel luogo chiamato Pahrumo Hills da dove, dopo aver compiuto una serie di analisi del terreno, inizierà la salita del versante meridionale del Monte Sharp. Il suo percorso sarà diverso rispetto a quello previsto inizialmente, ma secondo i tecnici il terreno di questo nuovo sito sarebbe più favorevole per lo studio geologico. “Il monte che Curiosity scalerà – ha spiegato Ori – è una struttura molto interessante in quanto la sua origine è misteriosa. Non è infatti il ‘classico’ picco che si trova al centro di molti crateri, formatosi per le dinamiche degli impatti, ma sembra essere piuttosto come un’enorme montagna che ricopre il picco”.

La struttura potrebbe essere un deposito lacustre, oppure il risultato di un’attività idrotermale: ambienti e sedimenti che possono conservare ancora oggi tracce di antiche forme di vita ormai estinte e raccontare molto sul passato del pianeta. Formazioni in qualche modo simili a quelle che esistono in alcuni deserti del nostro pianeta, come in Marocco dove molti ricercatori, tra cui Ori, cercano di capirne le origini e tentano così di aiutare Curiosity ad analizzare il terreno e possibilmente riconoscere testimonianze di forme di vita unicellulari, come le stromatoliti. “Purtroppo però – ha concluso Ori – difficilmente Curiosity riuscirà a rispondere alla domanda: ‘C’era vita su Marte?’. I suoi strumenti sono più adatti all’analisi geologica che al riconoscimento di antiche tracce di vita. Per questo dovremmo, credo, aspettare le prossime missioni”. E la Nasa sta già preparando la prossima missione robotica che dovrà spianare la strada allo sbarco dell’uomo sul Pianeta Rosso. 

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