Rimasto imprigionato nelle maglie strette dell’inchiesta sulle spese pazze alla Regione Liguria, l’ex vicepresidente della giunta, Nicolò Scialfa, a settembre potrà tornare a lavorare nella scuola, come preside di scuola media superiore. Ma dovrà riorganizzare l’intera logistica dei suoi spostamenti. Non rientrerà infatti come capo d’istituto nel prestigioso liceo ginnasio Andra D’Oria, ad un passo dalla Questura. Dovrà arrampicarsi sulle dorsali dell’appennino ligure, scollinare il passo dei Giovi e scendere a Borgo Fornari, frazione del comune di Ronco Scrivia, un minuscolo paese ai confini con la provincia di Alessandria.

La direzione regionale scolastica infatti lo ha assegnato al liceo scientifico Primo Levi della località a una trentina di chilometri da Genova. Una destinazione molto meno nobile, sia detto col masismo rispetto, del titolato liceo genovese, dove studia la creme della borghesia cittadina. Scialfa lo aveva diretto prima di intraprendere la carriera politica. Preside del D’Oria sarà la professoressa Maria Aurelia Viotti che lascia il liceo “Levi” di Borgo Fornari proprio a Scialfa. Uno scambio impari. Sollecitato, pare, dalle famiglie degli studenti del D’Oria, preoccupate di avere a che fare con un personaggio salito, suo malgrado, agli onori (si fa per dire) della cronaca giudiziaria. Irreperibile il dirigente regionale Sara Pagano, l’indiscrezione va registrata come tale. La legge Severino prevede che fino alla sentenza di condanna primo grado gli alti dirigenti del pubblico impiego possano tornare ad occupare il proprio posto di lavoro. Scialfa – che aveva chiesto di essere reintegrato al D’Oria – risulta soltanto indagato. 

Dimagrito di quindici chili, molto provato dai sei mesi trascorsi agli arresti domiciliari nella sua casa genovese del quartiere di San Fruttuoso, Scialfa era tornato in libertà il 14 luglio. I suoi avvocati, Andrea Vernazza e Guido Colella, lo avevano convinto a dare le dimissioni anche dalla carica di consigliere. Altrimenti avrebbe corso il rischio di vedersi prolungare gli arresti domiciliari, come era accaduto a due colleghe e compagne di partito nell’Idv, Marylin Fusco e Maruska Piredda (la prima transitata in Diritti e Libertà, la seconda nel gruppo misto). Coinvolte nel valzer delle spese allegre, erano state arrestate e assegnate ai domiciliari. Il procuratore aggiunto Nicola Piacente, titolare di una tranche dell’inchiesta, aveva infatti ritenuto che nelle vesti di consigliere, Fusco e Piredda avrebbero continuato a disporre di denaro pubblico, con il rischio di commettere altri abusi. Entrambe avevano subito rassegnato le dimissioni ed erano tornate in libertà. La permanenza in consiglio avrebbe garantito a Scialfa, Fusco e Piredda uno stipendio mensile di 6.500 euro netti e una serie di benefit a titolo di rimborsi spese. A fine mandato (primavera 2015), otterranno la restituzione dei versamenti previdenziali per avere il vitalizio, che invece non percepiranno. Verrà invece riconosciuto il trattamento di fine rapporto. In tutto percepiranno circa 100mila euro a testa.

Scialfa era stato eletto nelle fila dell’Italia dei Valori alle elezioni regionali del 2010 e aveva assunto la carica di capogruppo dell’Idv. Entrato in giunta, aveva sostituito alla vicepresidenza la Fusco. A sua volta indagato, Scialfa era stato arrestato l’11 gennaio scorso e assegnato ai domiciliari. Il tribunale del riesame, che aveva confermato il provvedimento cautelare emesso dal gip Roberta Bossi, aveva scritto: “Agli atti emerge una stridente estraneità dalle frequenti e consistenti spese contestate rispetto a qualsiasi collegamento con fini politico istituzionali, come nel caso delle ingenti spese per vino francese nel corso di una vacanza in Francia con gli amici (3.700 euro di denaro pubblico), modellismo, ipad, iphone, biancheria, intima, camicie, cravatte, parrucchiere, penne Mont Blanc, tanto che lo stesso presidente Burlando nel corso di una telefonata aveva rilevato l’evidente estraneità di tali spese personali all’attività politica”.

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