Sono le ultime ore utili per evitare un default da 29 miliardi di dollari. Il secondo in tredici anni. L’Argentina ha tempo fino a mezzanotte per trovare in extremis un accordo con i fondi speculativi che chiedono il rimborso delle obbligazioni acquistate dopo il precedente crac. Ormai Buenos Aires ha poche vie di uscita: non per niente a New York i legali della Casa Rosada hanno avuto per la prima volta un faccia a faccia con i rappresentanti degli hedge fund. “Uno scambio di vedute franco”, lo ha definito Daniel Pollack, il mediatore incaricato di facilitare il dialogo. Ma “restano divisioni non risolte” e “se e quando le parti si incontreranno a breve resta ancora da decidere”. Il ministro dell’Economia argentino, Axel Kicillof, lasciando l’ufficio di Pollack ha comunque assicurato che “le trattative continueranno nelle prossime ore. Nulla di fatto, dunque, ma ci sono segnali positivi: basti pensare che finora gli uomini di Cristina Kirchner avevano sempre rifiutato il confronto diretto con i fondi. Un inatteso salvagente potrebbe poi arrivare dalle banche argentine: secondo indiscrezioni riferite dal Wall Street Journalgli istituti starebbero lavorando a un piano per “sostituirsi” ai fondi comprandone i bond e pagando gli 1,33 miliardi più interessi che questi pretendono dal Paese. In cambio, le banche intenderebbero chiedere al giudice Usa Thomas Griesa di sospendere la sentenza che ha scatenato la nuova crisi.

Nella notte scade termine per ripagare chi ha accettato l’accordo con Buenos Aires dopo il primo default – Il pronunciamento di Griesa ha infatti congelato il pagamento ai titolari di bond “ristrutturati” di 539 milioni di dollari di interessi, già depositati in banca dal governo argentino. Pagamento dovuto, appunto, entro la mezzanotte di mercoledì, quando finiscono i 30 giorni di grazia concessi un mese fa. Buenos Aires, ha stabilito il togato, non può versare quei soldi a chi ha accettato i concambi (cioè la sostituzione delle obbligazioni in default con nuovi titoli a rendimenti inferiori e a scadenza più lontana nel tempo) se non soddisfa anche le richieste degli hedge fund. Questi ultimi pretendono, in totale, 1,5 miliardi di dollari. Ma, se il governo li accontentasse, sulla base della clausola “Rufo” (Rights upon future options) contenuta nell’accordo sulla ristrutturazione del debito rischierebbe rivendicazioni anche da parte dei possessori di bond che nel 2005 e 2010 hanno aderito agli accordi. Con un costo di centinaia di migliaia di dollari. Se non si individuerà una via d’uscita, il muro contro muro si risolverà appunto nel “default tecnico” del Paese. Con richieste di rimborso a valanga da parte di tutti i creditori che hanno in portafoglio obbligazioni in valuta straniera, per un totale di 29 miliardi di dollari. Che corrispondono più o meno all’intero ammontare delle riserve di dollari presenti nelle casse di Buenos Aires.

Per il Fondo monetario il default non avrebbe impatto su larga scala Christine Lagarde, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), ha rassicurato sul fatto che questo nuovo fallimento, pur “sempre spiacevole”, “non avrebbe un impatto forte su ampia scala”. Le cifre in ballo sono in effetti molto più contenute rispetto a quelle del 2001, quando il default riguardò titoli per un ammontare di circa 100 miliardi di dollari. 

Per la presidente del Brasile Roussef “Precedente pericoloso” – Nonostante il tempo stringa, i toni restano alti. La presidente Kirchner martedì ha attaccato il giudice Griesa, accusandolo di non essere stato neutrale, e gli hedge fund, che starebbero “compiendo una vera aggressione” nei confronti del Paese. Kirchner ha incassato anche l’appoggio del presidente brasiliano Dilma Rousseff, secondo la quale “la minaccia contro l’Argentina è un precedente pericoloso”.

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