Più che Costa d’Avorio dovrebbe chiamarsi Costa del Caffè o del Cacao, le due colture, imposte in epoca coloniale che hanno caratterizzato anche gli anni dopo l’indipendenza. Nel secondo dopoguerra la Costa D’Avorio divenne una delle colonie francesi più promettenti per lo sviluppo di due monocolture: il cacao e il caffè. La crescita legata ai due prodotti, però, non aveva fatto altro che acuire la divisione tra un sud-est produttivo e aperto al commercio internazionale e un nord-ovest impoverito e spopolato. E’ stato a questo punto che la terra è diventata una ricchezza molto ambita.

La Costa d’Avorio rappresenta il 40% della produzione mondiale di cacao (il primo esportatore di cacao in grani) e le sue vicende politiche e militari sono fortemente intrecciate agli interessi economici della filiera. Le terre al centro della contesa economica e politica sono quelle dell’est, che hanno rappresentato per molti un miraggio di arricchimento. In questo caso la politica di accaparramento non ha visto protagoniste solo le compagnie straniere ma anche le élite economiche locali. Da un lato le leggi sul diritto terriero e dall’altro i conflitti hanno aperto la strada al land grabbing.

Sotto la presidenza di Félix Boigny (Capo di Stato dall’indipendenza 1960 al 1993) è stata promossa la migrazione su larga scala verso le regioni dell’Est, per la coltivazione di cacao e caffè. Molti ivoriani del nord si trasferirono in quelle terre, diventando piccoli coltivatori. Agli ivoriani si aggiunsero anche gli stranieri, dal Burkina Faso e dagli altri paesi confinanti. La migrazione però, generava insofferenza della popolazione autoctona e alimentava l’annoso problema del riconoscimento dei diritti di cittadinanza per gli stranieri.

Il primo cambiamento di prospettive è arrivato con la legge sul diritto della terra, nel 1998. Di fatto veniva stabilita la proprietà dei terreni in base alla nazionalità ivoriana, esautorando completamente tutti gli immigrati che erano diventati coltivatori. La guerra civile scoppiata nel 2002 vide contrapporsi il governo di Laurent Gbagbo e i ribelli (Forze Nuove), che volevano fermare la politica di esclusione degli ivoriani del Nord, a maggioranza musulmani, dal possesso delle terre. L’allora presidente Laurent Gbagbo era accusato di favorire gli interessi del suo bacino elettorale, etnico e familiare. Durante il conflitto molti piccoli piantatori, figli di migranti ivoriani e stranieri, vennero espropriati dei loro campi e allontanati con la forza dai sostenitori di Gbagbo. Oltre alla legge, a colpire i coltivatori di cacao, è stato anche il conflitto. L’ultimo, in ordine di tempo, quello nato dopo le presidenziali del 2010, che hanno visto contrapporsi il presidente Gbagbo e il suo sfidante Alassan Ouattarà, annunciato vincitore dalla commissione elettorale.

L’attuale presidente Ouattarà non è immune dagli interessi legati al cacao, tanto da lanciare sospetti sulla condotta della sua milizia, accusata di aver deliberatamente ucciso molti proprietari di piantagione con l’obiettivo di espropriare le loro terre. Tra le leggi a cui ha messo mano Ouattarà da presidente c’è stata la modifica dei codici terrieri, nell’agosto scorso. La nuova legge cancella i diritti di accesso alla proprietà della terra per gli stranieri e determina un tempo di 10 anni per la registrazione delle terre e per  il ritiro di un attestato di proprietà.

Secondo Human Rights Watch, sono attualmente ancora 58 mila i rifugiati scappati in Liberia dopo la crisi del 2011 che non sono potuti rientrare nelle loro terre. Non si tratta solo di stranieri, ma anche alcune etnie, come i Guére, spossessati dei loro campi. Molti di loro hanno denunciato di essere stati presi di mira dalle forze militari. Si tratta in maggioranza di sostenitori dell’ex presidente Gbagbo. La crisi e la sottrazione delle terre hanno portato molte famiglie a situazioni di grave disagio a causa della difficoltà di accesso al cibo. Human Rights Watch ha denunciato anche la vendita e l’acquisizione illegittima di terreni appartenenti a persone che erano state costrette ad allontanarsi dai loro campi durante le violenze e il conflitto.

Nel caso della Costa d’Avorio l’accaparramento delle terre è stato utilizzato dalle parti in conflitto come arma economica per prendere il controllo del territorio e garantirsi una legittimazione politica.

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