Treni fermi dalle 21 di sabato 12 fino alle 21 di domenica 13. Per 24 ore incroceranno le braccia, secondo le stime degli organizzatori, tra i 10mila e i 20mila ferrovieri, tra macchinisti, capitreno e manovratori. Tra le richieste: più sicurezza per lavoratori e passeggeri, il riconoscimento del lavoro usurante e l’abbassamento dell’età pensionabile, oltre al reintegro dei due ferrovieri licenziati Sandro Giuliani e Riccardo Antonini. Tutti uniti i sindacati e le rappresentanze: Usb (Unione sindacale di base), Cat (Coordinamento auto-organizzato trasporti), Orsa (Organizzazione sindacati autonomi e di base), Cub (Confederazione unitaria di base) e il nuovo coordinamento autoconvocato Rsu-Rls, rappresentanze sindacali unitarie e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Restano garantiti i treni a lunga percorrenza.

Lo sciopero non riguarda Piemonte e Valle d’Aosta, secondo le indicazioni della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero. Tra le rivendicazioni c’è quella sull’età delle pensioni, che è strettamente legata alla questione sicurezza. Raniero Casini, capostazione di Firenze Santa Maria Novella, è referente per la Toscana di Cat, il Coordinamento auto-organizzato dei trasporti. “Ho 59 anni, lavoro dal 1980, potevo essere in pensione un anno fa. Invece dovrò rimanere fino ai 67 anni, secondo la legge Fornero. In ferrovia si muore prima: lo dicono le statistiche, la nostra aspettativa di vita è di 64,5 anni. Vogliono mandarci in pensione a 67 anni? Non ci si arriva vivi. Alle 5 di mattina, dopo aver lavorato 7 o 8 ore, devo garantire la sicurezza? Che reattività posso avere? A 67 anni alle 3 di notte uno sbatte la testa sulla scrivania. Un macchinista non può fare lo stesso numero di ore di lavoro di uno che sta in ufficio. Lo stress e le conseguenze di un errore umano non sono paragonabili. Il nostro collega Antonio Cherubini, macchinista di Roma, è morto pochi giorni fa di infarto, aveva 59 anni. Avrebbe dovuto essere in pensione da un anno se non fosse stato per la legge Fornero. Non si trovava sul luogo di lavoro, ma se fosse stato in cabina? Oggi i macchinisti lavorano quasi sempre da soli. Con un intervento tempestivo magari avrebbe potuto essere salvato: ma da solo no” si sfoga a ilfattoquotidiano.it il capostazione fiorentino.

“Io lavoro giorno e notte, ho libera una sola domenica al mese e così anche i legami sociali si perdono. Ogni giorno non mangio mai alla stessa ora del giorno prima. Dirigo la circolazione di treni e apparati altamente tecnologizzati: anche per i cittadini non è il massimo. Ogni anno ci fanno dei controlli per verificare che non assumiamo droghe o alcol, essendo addetti alla sicurezza di altre persone. Poi però ci fanno lavorare in queste condizioni: ufficialmente non c’è niente di illegale, però…”. La sicurezza e le condizioni di lavoro in ferrovie sono peggiorate molto negli ultimi 15 anni, secondo i rappresentanti dei lavoratori. “C’è stata una riduzione del riposo tra un turno e l’altro, manca il recupero psicofisico. Prima in cabina si trovavano due macchinisti, o un macchinista e un capotreno, oggi solo un macchinista. E il capotreno e il macchinista fanno fino a 10 ore al giorno. Oggi l’orario notturno va dall’una alle 5, prima era contato da mezzanotte. Prima avevamo 36 ore settimanali estendibili a 42, oggi 38 che possono arrivare a 44. E’ diventato lavoro ordinario quello che prima era straordinario. Negli anni ’20 del Novecento uno dei più grandi scioperi prima dell’avvento del fascismo chiedeva le 8 ore lavorative al giorno. Oggi siamo al pre 1920. Nel XXI secolo ci sembra improponibile” dichiara Roberto Testa, ferroviere macchinista referente di Usb, Unione sindacale di base.

Secondo cui le cose nelle piccole aziende di trasporto merci vanno peggio che in FS: “Lo sciopero è esteso anche a loro. Le condizioni peggiorative degli ultimi 10-15 anni per i ferrovieri di FS si sono ripercosse anche sulle aziende più giovani, in modo anche peggiore: lo dico a fronte di alcuni report che abbiamo ricevuto da questi lavoratori”. Per Andrea Pelle, legale di Orsa, con la legge Fornero sono stati messi a rischio anche molti posti di lavoro: “Ferrovie dello Stato è in attivo come tutti sanno e fino a qualche anno fa assumeva migliaia di ragazzi ogni anno. Ma la legge Fornero ha bloccato tanti lavoratori che non possono uscire: così si impedisce il ricambio generazionale. Una volta all’anno, in certi casi anche due, siamo sottoposti a visite specialistiche per verificare se siamo idonei al 100 per cento: con i turni di notte, di giorno, al sole, al vento, il rischio di diventare inidonei con l’avanzamento dell’età è alto. In quel caso ci mandano a casa? A rischio allora ci sono anche i posti di lavoro, soprattutto delle aziende di trasporto merci più piccole che hanno 20-30 dipendenti e sono tante, soprattutto al Nord”.

Anche per Orsa, però, il problema della sicurezza per lavoratori e passeggeri resta grave. “L’età – continua Pelle – incide in modo negativo sulla sicurezza di lavoratori e passeggeri: abbiamo personale di 67 anni, è impensabile per linee in cui i treni viaggiano a 300 km orari. La lucidità di una persona di 67 anni è diversa da quella di un ragazzo. Portano i treni anche di notte. Non è un lavoro come un altro. Negli ultimi 10 anni sono morti in attività lavorative per Ferrovie dello Stato oltre 40 persone. Sono attività che comportano un rischio enorme. Abbiamo chiesto il riconoscimento delle attività usuranti: gli autisti e i palombari ce l’hanno, noi per contratto no”. Prima di arrivare agli scioperi – l’ultimo, a marzo, era durato 8 ore – i sindacati dei ferrovieri avevano tentato il dialogo con la politica, fino ad arrivare a un disegno di legge, “Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici dei lavoratori del settore ferroviario”, presentato dal senatore Antonio De Poli (gruppo Per l’Italia) il 30 luglio 2013, che cercava di rimediare ai cambiamenti imposti dalla Fornero.

Per ora, però, senza risultati. “I politici? Dicono che non sanno dove reperire le risorse per mandarci in pensione. Lo sappiamo noi: possiamo chiedere alle aziende per cui lavoriamo e agli stessi lavoratori una contribuzione rinforzata per accedere prima alla pensione. Le idee ci sono – ribadisce il legale di Orsa – ma manca qualcuno che ci ascolti. Renzi? E’ informatissimo, è il primo dei destinatari delle nostre missive. Ma non ci ha mai risposto. Né lo hanno fatto quelli che lo hanno preceduto: si assomigliano tutti”.

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