Il nome è difficile, quasi impossibile da pronunciare: coulrofobia. Deriva dal greco e fa riferimento alla paura per coloro che camminano su trampoli. Giocolieri e clown, insomma. Ed è per questo che oggi è la definizione della fobia dei pagliacci. Nessuna risata, niente sorrisi per questi personaggi bizzarri dal naso tondo e le scarpe giganti. Ma nausea, attacchi di panico e fiato corto. Studi sul fenomeno ce ne sono pochi, ma alcuni parlano di una persona colpita ogni sette. Può essere fobia vera e propria, e può essere più una sensazione di sgradevolezza. Ne soffrono bambini soprattutto, nei quali la coulrofobia spesso va a braccetto con la paura delle bambole. E se non affrontata cresce con gli anni.

Del resto basta dare un occhio alla letteratura per capire che è una paura sepolta nell’inconscio di molti. Stephen King, per esempio, gli ha dato forma in quello che è rimasto nella storia come uno dei più spaventosi capolavori dell’orrore: It. Difficile scordare l’atroce pagliaccio con i denti affilati come lame. E poi il Joker, uno dei principali antagonisti di Batman, sempre dipinto come un pagliaccio beffardo e spietato. Persino nei Simpson il clown è un personaggio negativo, un uomo corrotto e alcolizzato. E se film e romanzi hanno aiutato a esorcizzare le paure degli autori, ironia della sorte, le hanno tramandate ad altri. Gli psicologi, infatti, associano spesso la paura dei clown a un trauma infantile, o alla visione di un’immagine quando si è bambini. Può essere tuttavia anche legata a un istinto vitale, presente fin dalla nascita. Quello che ci spinge a stare lontani da chi si mostra per quello che non è. Magari nascosto da chili di trucco e una parrucca colorata.

emiliano.liuzzi@gmail.com

Il Fatto Quotidiano, lunedì 10 marzo 2014

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