Viene definito “shopping compulsivo”, e forse per questo sottovalutato, soprattutto dalle persone che ne soffrono, se ne rendono conto, ma non l’accettano come si farebbe invece con un’altra patologia. Nella realtà lo shopping compulsivo è una specie di attacco di bulimia, solo che, invece che di cibo, ci si abbuffa di acquisti. E, come nella bulimia, l”abbuffata” è seguita da un forte senso di colpa e di insensatezza: ciò che prima ci è sembrato irresistibile, a casa si palesa per ciò che è: un ennesimo oggetto inutile che non riempie nemmeno un po’ del vuoto esistenziale.

Un sintomo, come dicevamo all’inizio, in apparenza pittoresco, ma che nasconde un profondo nucleo depressivo e che dunque non va sottovalutato. Oltre al fatto – non trascurabile – che lo shopping compulsivo non pensa ai limiti del portafoglio e usa bancomat e carta di credito come pozzi magici senza fondo. Quello che fino a poco tempo fa sembrava un fenomeno di costume, oggi risulta, a tutti gli effetti, una nuova patologia contemporanea, quasi al pari del gioco d’azzardo, analizzata anche dai servizi sanitari.

La Asl di Bologna ha speso mesi per cercare di dare dei numeri. E i risultati non tradiscono le preoccupazioni: a Milano, capitale assoluta della moda, circa il 6% della popolazione è affetta da tale malattia. Il 75% delle vittime di acquisti perpetui è di sesso femminile. Vuol dire, conti alla mano, che nel capoluogo lombardo settantamila donne soffrono di shopping maniacale. Esiste anche un identikit della shopper compulsiva: tra i 25 e 35 anni di età, estrazione economica sociale media, grado di cultura alto e una vita sentimentale spesso compromessa. Gli episodi, sempre secondo lo studio, avrebbero una frequenza di 17 al mese. Quasi peggio del gioco d’azzardo.

emiliano.liuzzi@gmail.com

Il Fatto Quotidiano, Lunedì 17 febbraio 2014

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