Nulla più stupisce, anche la più inammissibile assurdità diventa normale in Italia.

Per i genitori è arduo trasmettere rispetto verso qualunque forma di autorità, coloro che dovrebbero rappresentare un punto di riferimento meriterebbero di soggiornare in galera e non di pascere al governo.

Chi mi conosce sa che mi impegno per la pace privata e collettiva. Sono consapevole che questo mi conduca spesso a sfiorare il ridicolo, soprattutto quando invito con fermezza i componenti della mia famiglia a usare parole gentili, e non per ipocrita perbenismo o esagerata ricerca di educazione formale.

Anzi. Quando ci esprimiamo in modo garbato così come quando cantiamo un mantra, la vibrazione influisce positivamente sul cervello, generando virtuosismi in tutto il corpo. Diventiamo quello che pronunciamo, questo vale per un’espressione benevola ma anche per le parolacce, quindi è importante dedicare attenzione ai suoni che emettiamo.

Convinta come sono che ai bambini non si possa rompere su tutto – devi scegliere – io ho dato prelazione ai modi gentili. Insomma non sgrido mia figlia se mangia con le mani, ma non le lascio passare una risposta scortese. Credo che alla fine i comportamenti dei figli siano anche conseguenza delle nostre priorità.

Scendo in piazza in nome della pace da quando ho 14 anni, ho iniziato a portare con me mia figlia Ginevra appena è nata, avvolta da una sciarpa arcobaleno dentro il marsupio. Ora è alle medie e ancora continua a marciare. Da quando è piccina mi ha denominato “pace interiore” e per imitarmi si mette nel loto con le mani in gyan mudra. Confesso che gongolo ravvisando l’immagine che ha di me.

Eppure mi è successo qualcosa. Sto perdendo colpi. In questi giorni proprio non riesco a restare tranquilla. Medito.

Ma nella mente

“basta basta basta basta basta”

tende a sostituire

“shanti shanti shanti shanti shanti”.

Ho acquisito una certa abilità nell’andare a prendere la mente per riportarla dove scelgo io, consapevole che siamo noi padroni del pensiero e non il contrario. Ma stavolta la mia mente – mentre quotidianamente passeggia insieme a me e all’infante Lorenzo per le vie del centro storico di questa Roma che da tempo cerco di lasciare per un borgo toscano (un giorno ci riuscirò!) – si ribella. Andavo a scuola in questo quartiere e fin da ragazzina incontro politici appartenenti sulla carta a schieramenti avversi a braccetto, seduti nei tavolini all’aperto di esosi ristoranti sorridono complici dopo che la sera prima si sono insulti in qualche salotto televisivo. Teatrini organizzati per noi poveracci, e se fino ad oggi ci hanno trattato da tonti, in fondo non abbiamo fatto altro che dargli ragione.

Agli albori della mia professione, diciassettenne, intervistai un sincero deputato socialista che confessò: “Sarei disposto a vendere mia madre per non perdere i privilegi acquisiti”. Ora che stanno vendendo anche l’aria dei nostri figli, noi siamo ancora immobili. Ci credo che la mia mente non vuole saperne di restarsene quieta. È tempo di agire!

Camminando davanti al Senato con Lorenzo in braccio, immagino una folla di bambini di tutte le età che insieme ai genitori lanciano pannolini usati sui nostri politici. Mi sembra di ascoltare le voci dei più grandicelli: “Questa è la rivoluzione dei bambini! Vogliamo pappa, cure, giochi e cioccolatini!

Le cariche delle forze dell’ordine, a cui sempre più spesso dall’alto viene chiesto di intervenire violentemente per debellare ogni forma di protesta, in questo caso non ci sarebbero. Chi mai potrebbe manganellare o buttare gas lacrimogeni su una folla di bimbi? Chi mai potrebbe considerare un’arma degli innocenti pannolini amorevolmente tolti dai sederini di teneri poppanti? Chi mai potrebbe non condividere la necessità di restituire loro almeno una speranza di futuro?

E allora mi piace pensare a un Pasolini sorridente, che da qualche dimensione lontana vede carabinieri e poliziotti con prole al seguito partecipare alla rivoluzione dei bambini. Stare dalla stessa parte di chi come loro fatica ad arrivare a fine mese, a comprare il necessario per andare a scuola, il cappottino quando fa freddo, che deve chiedere ai piccoli di rinunciare al nuoto perché non riesce a pagare la retta.

Cominciamo a mettere da parte i pannolini.

Rischio incriminazione per istigazione a delinquere?

Tentare di riprendersi almeno i sogni non credo sia un crimine.

di Federica Morrone

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