Unicredit condannata a risarcire un investitore. Al centro del contenzioso, la vicenda dei Tango bond, i titoli di Stato argentini diventati carta straccia nel 2001, a seguito del default dichiarato da Buenos Aires nel 2001. Secondo il Tribunale di Bologna, la banca aveva comprato per conto del cliente 22mila euro di obbligazioni del Paese sudamericano senza fornire “informazioni in ordine ai suoi obiettivi di investimento e alla sua propensione al rischio“. La sentenza di primo grado stabilisce quindi che l’istituto di credito debba restituire la somma con tanto di interessi.
La vicenda è cominciata a fine anni ’90. Il gruppo bancario milanese aveva acquistato i titoli di Stato argentini per conto dell’investitore, in tre momenti: dicembre 1999, luglio 2000 e febbraio 2001. Per un totale di appunto 22mila euro. Pochi mesi dopo l’ultima operazione, a dicembre, il governo di Buenos Aires, di fronte all’impossibilità di ripagare il debito, aveva però dichiarato default sulla maggior parte del debito pubblico, azzerando 132 miliardi di dollari di crediti. E così centinaia di migliaia di risparmiatori avevano visto sfumare in un attimo i propri investimenti.
Tra di loro, anche l’investitore emiliano. Nel 2011, l’uomo aveva intentato una causa legale contro Unicredit patrocinata dalla Uil di Bologna. Ora, il verdetto del tribunale: la banca dovrà risarcire il risparmiatore, pagando anche gli interessi a partire dal giorno di presentazione della causa. Due le premesse alla base della decisione del giudice: la scarsità di informazioni fornite dal gruppo bancario al suo cliente e il profilo specifico dell’investitore, considerato “poco propenso al rischio“. “L’istituto di credito – si legge nella sentenza – non ha dimostrato di avere fornito, né coevamente né successivamente al primo acquisto, alcuna specifica informazione relativa all’andamento dei bond argentini e alla situazione economica e finanziaria dell’emittente, essendosi limitato a reiterare, in occasione delle due successive operazioni di acquisto, le medesime generiche segnalazioni”.
Eppure, secondo il giudice, dall’esame della documentazione “emerge come la banca sia stata evidentemente consapevole del rischio connaturato all’investimento”. Per questo, non è consentito all’istituto all’epoca dei fatti guidato da Alessandro Profumo (oggi alla presidenza del Monte dei Paschi) “di trincerarsi, senza alcuna dimostrazione, dietro l’imprevedibilità dell’inadempimento dell’emittente”, cioè dello Stato argentino. Il Tribunale di Bologna è arrivato così a ravvisare “nella condotta di Unicredit una violazione delle regole comportamentali sancite” dalla normativa vigente in materia di diritto bancario e finanziario: il cliente non è stato posto nella condizione di “effettuare un investimento consapevole”. Utilizzando così una parte del suo patrimonio per “un’operazione inadeguata, per livello di rischio, al proprio profilo di investitore, subendo così una considerevole perdita economica“.
La causa vinta dal risparmiatore, spiega l’avvocato Luigi Sciacovelli, “riconosce diritti, sanciti dalla normativa vigente in materia di diritto bancario e finanziario che prevede l’obbligo di una chiara e precisa informazione da parte dell’istituto di credito nei confronti dell’investitore”. Questa sentenza, secondo il legale, “indica, alle tante vittime del crack argentino, che una soluzione è possibile e che i diritti tali restano”. Il verdetto di Bologna non è il primo episodio in cui la giustizia riconosce la responsabilità delle banche nella perdita di crediti di molti risparmiatori in seguito al default di Buenos Aires. Nel 2012, la Corte di Cassazione era intervenuta in due casi per imporre il risarcimento da parte di istituti bancari nei confronti di investitori coinvolti in cause simili a quella di Bologna. In particolare, i giudici avevano riconosciuto, anche in questi casi, la consapevolezza da parte delle banche in merito all’imminenza del default argentino e la mancata trasparenza da parte degli istituti di credito.