A sette anni dall’ultimo indulto l’affollamento delle carceri è ulteriormente peggiorato. Il riproporsi del dramma sancisce, come ha rimarcato Giorgio Napolitano, l’incapacità della politica di risolvere il problema. Eppure le soluzioni ci sarebbero. 

di Giovanni Mastrobuoni* (lavoce.info)

Una sentenza alle porte

Con un atto formale di estrema rarità e forza, un discorso diretto alle Camere, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha chiesto al parlamento di affrontare e risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Questo atto inusuale è anche dovuto alla sentenza della Corte di Strasburgo che invita il governo Italiano a porre rimedio alla situazione carceraria entro il 28 Maggio 2014, poco più di 7 mesi da oggi.

Numeri e proclami

Con 65 mila presenze di detenuti, a fronte di una capienza “regolamentare” di 47 mila, la situazione è effettivamente drammatica, così come lo era anche nel 2006, poco prima dell’ultimo indulto. Allora i detenuti erano 61 mila e la capienza di 43 mila. Il riproporsi dello stesso identico problema sancisce l’incapacità della politica di risolvere il problema delle carceri. All’epoca l’indulto sancì la fine dell’emergenza e quindi, in un paese come il nostro, la fine della spinta riformatrice per risolvere il problema alla radice. Ad esempio, ai proclami di massicci piani di edilizia carceraria con copertura finanziaria seguì l’opera di un lento e silenzioso cannibalismo dei fondi spinto dalla necessità di reperire denari per le casse dello stato. Sette anni dopo, la capienza delle carceri risulta essere aumentata di sole 4 mila unità, meno del 10 percento, mentre i proclami di allora parlavano di 37 mila nuove unità.
Indulti e amnistie oltre a non risolvere i problemi che sono alla radice della questione del sovraffollamento (come più volte ricordato su questo) uccidono qualsiasi spinta riformista. Quindi, il primo errore da evitare è quello di incominciare ad affrontare la questione del sovraffollamento con atti come l’indulto o l’amnistia. Sarebbe molto più utile condizionare tali atti ad una seria riforma carceraria. Fatta una riforma sistematica, se ce ne fosse ancora bisogno, per risolvere il problema delle carceri e, in secondo luogo, per evitare le sanzionidella Corte di Strasburgo, si potrebbe passare ai rimedi straordinari previsti dalla nostra Costituzione, come l’indulto o l’amnistia.

La svolta di Napolitano e gli errori da evitare

Per fortuna il Presidente ha fornito tutti gli elementi che una riforma sistematica dovrebbe contenere: un maggiore utilizzo della messa in prova; l’utilizzo di pene alternative al carcere; un minor utilizzo della custodia cautelare; l’espiazione della pena nei paesi di origine per chi è immigrato; una depenalizzazione di alcuni reati; un piano carceri. Il Presidente conclude l’elenco dei rimedi possibili con l’indulto e l’amnistia, ma ad una lettura distratta potrebbe essere sfuggito un importante distinguo rispetto a come venne organizzato l’indulto del 2006. Il Presidente riconosce infatti che tale indulto fece aumentare i reati (si veda l’articolo), e quindi si augura che questa volta vengano adottate idonee misure finalizzate al reinserimento dei detenuti. Come ciò possa avvenire con un numero finito di operatori quando si liberano 24 mila detenuti da un giorno all’altro non ci è dato sapere. Il secondo errore da evitare è quindi quello di replicare il metodo di scarcerazione dell’indulto del 2006. Ad esempio, si potrebbe prendere in considerazione lo scaglionamento nel tempo delle scarcerazioni, iniziando dai detenuti più anziani (che sappiamo essere quelli meno propensi alla recidiva).

Andrebbe anche presa in considerazione l’opportunità di escludere non solo chi commette “reati particolarmente odiosi ,” ma anche chi tende a commetterne molti e a intervalli ridotti, come d’altronde previsto dalla legge (si veda l’articolo). Il presidente Napolitano, nel suo discorso alle Camere, ha messo in dubbio l’efficacia deterrente delle sanzioni penali. Non è affatto chiaro a quale dottrina penalistica egli faccia riferimento, dato che esiste  evidenza empirica del contrario (si veda l’articolo di Drago, Galbiati e Vertova “The Deterrent Effects of Prison: Evidence from a Natural Experiment” apparso sul Journal of Political Economy).
Ancora una volta è bene ricordare e sottolineare che, prima di qualsiasi decisione volta a riformare il sistema sanzionatorio, occorrerebbe fare una seria valutazione, basata su solide analisi empiriche, della recidiva. Un segnale molto forte, in tale direzione, è arrivato dal Ministero della Giustizia e dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, che hanno messo a disposizione di alcuni ricercatori molti dati sui detenuti al fine di poter fare delle analisi di natura quantitativa che possano aiutare ad individuare quali potrebbero essere le riforme più appropriate (si vedano a riguardo i primi risultati dell’articolo).

– DOSSIER INDULTO 

*Giovanni Mastrobuoni ha conseguito un dottorato in Economia presso l’Università di Princeton nel 2006. Attualmente è professore associato del Dipartimento di Economia all’Universita’ di Essex. E’ stato Assistant Professor presso il Collegio Carlo Alberto e ricercatore affiliato presso Netspar (in Olanda) e IZA (Germania). La sua ricerca si concentra sull’economia del lavoro e sull’economia del crimine ed è stata pubblicata su varie riviste internazionali. E’ stato visiting fellow al Nuffield College (Oxford University), alla Italian Academy (Columbia University, New York), alla Universitat Autonoma de Barcellona e alla Indistrial Relations Section della Princeton University. 

 

 

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