Mi scrive  – come commento del mio precedente articolo – l’utente mdemon:

“Evidentemente non devono guardare con terrore la cassetta della posta temendo una bolletta non prevista… Non guardano con paura l’arrivo del Natale e si domandano con enorme vergogna cosa regaleranno ai loro figli.” Con tutto il rispetto, credo che lei rispecchi proprio queste persone”.

Lei ha ragione. E ha torto.

Ha ragione perché è verissimo che non vivo difficoltà economiche. Sono tra i “precari di lusso” (contratti a scadenza, generalmente, annuali ma ben pagati). Nessuno mi regala niente, sia chiaro.

Ma ha torto se sostiene “che io rispecchio proprio quelle persone”.

Un conto è trovarsi nella condizione economica di altri soggetti, un altro è pensare come loro.

Il fatto di non avere problemi di soldi, non mi fa pensare che altri non ne abbiano.

È tutto qui il problema.

Chi dice: “Ma dov’è questa crisi? I ristoranti sono sempre tutti pieni!”, non sempre è in malafede. Probabilmente i ristoranti che frequenta sono davvero sempre pieni. Mentre centinaia di bar di periferia, trattorie e pizzerie di piccoli centri, tavole calde dedicate a chi la crisi la porta tutta sulle sue spalle, continuano a chiudere.

Ho sentito questa frase tra due signori sul volo Milano-Roma: “La crisi non esiste. La business del Roma New York è sempre piena”.

È questo modo di pensare che va combattuto. E credo questa fosse la richiesta dei ceramisti di Civita Castellana.

Riportare al centro dell’attenzione le persone.

Quando si parla di licenziamenti, di cassaintegrati, di precari, di esodati, si parla di numeri, percentuali, stime. Senza pensare che quei numeri sono facce, donne e uomini con le loro storie, le loro famiglie, le loro vite. Vere. Non solo punti di un grafico da affrontare con un’alzata di spalle.

Tutti ci dobbiamo fermare. Ci dobbiamo guardare indietro. E’ un problema anche nostro. Perché domani comunque ci coinvolgerà. Se non capiamo questo, siamo spacciati.

Passo alla proposta.

Queste estate, con i miei due soci del Trio Medusa, abbiamo aiutato il nostro autore storico a portare il suo spettacolo di improvvisazione teatrale al festival di Edimburgo.

Non l’abbiamo fatto perché affetti da mecenatismo compulsivo. Ma perché crediamo (come direbbero i pubblicitari) “nel prodotto”. Questo gruppo di capaci attori ha chiesto – via web – di finanziare il suo progetto, a partire da un euro.

Propongo ai ceramisti di Civita Castellana di fare lo stesso.

Se si uniscono in un’associazione, una società (la forma che preferiscono e che pensano più utile a raggiungere lo scopo) sono sicuro che troveranno molte persone pronte a scommettere su di loro e sul loro lavoro. Scommettere non è la parola giusta: investire.

Io ci sono. Investo su di voi.

Investo sulle vostre vite, sulle vostre facce, sulle vostre famiglie.

Il miglior investimento della mia vita.

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