Il mancato arresto di Mukhtar Ablyazov, ritenuto dalla polizia italiana sempre un “terrorista” e mai un dissidente; l’espulsione “ordinaria” della moglie e della figlia, senza che nessuno si sia insospettito dell’anomalo interesse delle autorità kazake; l’informazione “corretta”, fino ai piani alti del Viminale, solo per quanto riguarda l’operazione relativa la cattura del latitante e, al contrario, “carente” riguardo al procedimento amministrativo di espulsione. E’ questo il contenuto dell’inchiesta amministrativa condotta a tempo di record dal capo della Polizia, Alessandro Pansa, che individua le responsabilità ai vari livelli. Un’inchiesta divisa in due parti – da un lato i fatti, dall’altro “la diagnosi di come sia potuto accadere che il Governo non fosse informato della vicenda” – che ha indotto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ad accettare le dimissioni del suo capo di Gabinetto Giuseppe Procaccini, a chiedere l’avvicendamento del capo della segreteria del Dipartimento di Ps Alessandro Valeri e a ordinare a Pansa una “riorganizzazione complessiva” dello stesso Dipartimento, a cominciare dalla Direzione centrale dell’immigrazione.

Tutto comincia il 28 maggio. Quella mattina l’ambasciatore kazako Adrian Yelemessov cerca inutilmente di contattare Alfano. Si reca allora alla Squadra mobile della Questura dove “fornisce le indicazioni necessarie per la cattura di Ablyazov, sottolineandone la pericolosità”. La sera dello stesso 28 maggio l’ambasciatore fornisce le stesse informazioni al capo di Gabinetto del ministro, Procaccini, e al capo della segreteria del Dipartimento, Valeri. Quest’ultimo contatta il capo della Mobile, che già sapeva tutto. Valeri informa anche il prefetto Francesco Cirillo, cui fa capo l’Interpol, e Gaetano Chiusolo, direttore centrale anticrimine, che attiva lo Sco. Anche il vice capo vicario della polizia Alessandro Marangoni viene informato. La villa di Casal Palocco, ritenuta nascondiglio del latitante, viene perquisita due volte; si sequestra denaro, materiale elettronico e un passaporto; Alma Shalabayeva viene denunciata per falso. Dell’esito negativo delle ricerche di Ablyazov viene data comunicazione al Gabinetto del ministro. Dunque, scrive Pansa, questa prima parte della vicenda ha “seguito correttamente tutti i circuiti informativi sia discendenti che ascendenti”. La seconda parte, invece, quella relativa all’espulsione “si è fermata nella fase ascendente ad un livello che non ha coinvolto le strutture di diretta collaborazione del Ministro, cui competeva informarlo”.

L’inchiesta di Pansa mette alcuni punti fermi. Il primo è che “in nessuna fase della vicenda i funzionari italiani hanno avuto notizia alcuna sul fatto che Ablyazov fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakhstan, possibile oggetto di ritorsioni, un rifugiato, e non un pericoloso ricercato in più Paesi per reati comuni”. L’altro punto fermo è che “non risulta che Shalabayeva o i suoi difensori abbiano mai presentato o annunciato domanda di asilo, pur avendone la possibilità. Né è risultato che la cittadina kazaka abbia mostrato o affermato di possedere un permesso di soggiorno rilasciato da Paesi Schengen”. Ciò non toglie, però, che all’espulsione si è giunti sottovalutando la speciale attenzione delle autorità kazake, una solerzia giunta al punto di mettere a disposizione un volo privato dedicato. Circostanza sfuggita in primis al dirigente dell’Ufficio immigrazione della questura, Maurizio Improta. Nella sua relazione del 3 giugno, infatti, Improta dichiara di “non aver informato nessuno dei suoi superiori del volo diretto per l’allontanamento della donna, non essendogli stato specificato dal consigliere dell’Ambasciata kazaka che il volo fosse stato appositamente predisposto”. La Shalabayeva e la figlia vengono dunque accompagnate dalla polizia in aeroporto e, “sotto la scaletta dell’aereo”, tranquillamente affidate al consigliere e al console kazako.

Parlando ora del deficit informativo, Pansa premette che non tutte le notizie vengono ovviamente portate a conoscenza del ministro, tantomeno le espulsioni: e, quella in questione, era “un’espulsione ordinaria”, considerato che “non vi era né evidenza né consapevolezza che il marito della espulsa fosse un dissidente”. “Va di converso detto – precisa però il capo della Polizia – che l’attenzione di un altro Paese così evidente e tangibile attraverso l’impegno diretto del proprio ambasciatore e l’utilizzo di un volo non di linea per il rimpatrio delle due kazake avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del Ministro stesso”. Cosa che non è avvenuta, dando “importanza alla sola ricerca del latitante”. “Non è stata seguita per niente dal Dipartimento della Ps la fase relativa all’espulsione, cui gli organi territoriali hanno attribuito un mero valore di ordinarietà burocratica”, scrive Pansa. In particolare, aggiunge, “il prefetto Valeri ha memoria solo delle informazioni relative alla fase di polizia giudiziaria, ma non ricorda quando ha appreso dell’espulsione della donna e delle modalità dell’espulsione stessa. Il dirigente dell’ufficio immigrazione”, poi, “non ha attivato canali di informazione né nei confronti del questore né del Dipartimento della ps, non avendo percepito la straordinarietà delle modalità con cui l’espulsione è stata eseguita”. In conclusione, il Dipartimento della pubblica sicurezza “ha seguito l’evolversi delle iniziative dei diplomatici kazaki solo fino ad un certo punto, come se dovesse rispondere al gabinetto del Ministro solo relativamente all’eventuale cattura del latitante e non dell’insieme dell’operazione”.

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