Se digitate “predosa” su Google, troverete una pagina di informazioni su questo Comune dell’alessandrino situato sulla riva del Fiume Orba. Ma niente che lasci presagire che cosa gli aspetti in futuro.

Per saperlo, digitate “predosa autostrada”. Troverete enne pagine dedicate, perché l’ultimo grido della moda è la autostrada Albenga – Valbormida – Predosa.

È dagli anni sessanta che si parla di un’autostrada che dal Ponente Ligure raggiungerebbe direttamente il basso Piemonte. Si dice sempre che in Italia si discute, si discute, ma non si conclude mai niente. In questo caso, meno male che non si conclude. O per lo meno non si è concluso fino ad oggi. Perché adesso c’è stata una accelerata.

E così ecco emergere con prepotenza, dicevamo, la Albenga – Valbormida – Predosa. Leggiamo sul sito “Salviamo il paesaggio”:

“Si tratta di una grande opera che è stata definita come una vera svolta per lo sviluppo turistico, economico e commerciale tanto della Liguria quanto del Piemonte dai Presidenti di ambedue le Regioni, Claudio Burlando e Roberto Cota. Pare che sia stata inserita dal Ministero delle Infrastrutture nella nuova rete TEN-T, che rappresenta l’elenco delle opere considerate più importanti per implementare la competitività dei trasporti a livello continentale rendendo possibile il collegamento veloce con il Nord dell’Europa, come annunciato trionfalmente da Oscar Dogliotti, consigliere della Provincia di Savona.”

Ci si lamenta che l’Italia è la patria del Nimby. E meno male. Il Nimby c’è anche qui. È il Comitato salviamo le nostre valli, che raccoglie più di 600 persone che non credono all’opera strategica, ma si limitano all’aspetto della distruzione del territorio: 47 Km, di cui 32 in galleria e 9 di viadotti con un costo stimato di 2 miliardi e mezzo.

Il Comitato ha scritto al “sinistro” Burlando. Ha risposto l’Assessore regionale alle Infrastrutture, Raffaella Paita. Fra le altre cose la sua lettera afferma solennemente (testuale):

“E’ altresì importante, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, far crescere la nostra regione da un punto di vista occupazionale, economico e sociale, creando occasioni di lavoro, favorendo opportunità di rilancio economico, garantendo collegamenti infrastrutturali adeguati e funzionali.

Dobbiamo pertanto cogliere tutte le opportunità per sviluppare nuove infrastrutture sul territorio per non condannare questi nostri bellissimi posti all’isolamento ed i nostri giovani ad un’inevitabile abbandono della loro terra.”

La solita minestra riscaldata. Quante volte abbiamo sentito in questi quaranta-cinquant’anni, per accompagnare le colate di cemento ed asfalto, le parole: “svolta”, “opera strategica”, “sviluppo”, “rilancio”, “occasione storica”, “valorizzazione”, “riqualificazione”? Ci piacerebbe sapere: la Liguria ha cementificato dal 1990 al 2005 quasi la metà delle sue superfici ancora libere di pianura. Quanti posti di lavoro stabili ha creato questa massiccia distruzione? Ditecelo per favore, voi che vi riempite la bocca di paroloni.

Basta, siamo stanchi  di questo triste balletto, di questa messinscena che non incanta più nessuno, di cui la nuova autostrada, rectius “bretella” è una ennesima rappresentazione.

E poi, permettetemi un malinconico excursus molto personale. Io da ragazzo andavo sempre a trascorrere buona parte dell’estate a Mallare, un comune nell’entroterra di Savona, prettamente agricolo. Qui la gente allora viveva di una piccola economia locale. Era un borgo pressoché autarchico come tantissimi nell’Italia degli anni Sessanta. La gente non era ricca, ma stava bene, e, badate, non è il ricordo che mi fa trasfigurare la realtà di allora. Mauro, il figlio del maniscalco, vide il mare per la prima volta a sei anni, ospite a casa mia. Poi è arrivato lo sviluppo. Non oso pensare cosa sia Mallare oggi. Ma soprattutto non oso pensare quando ci passerà la Albenga – Carcare – Predosa.

 

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