E’ morta Margaret Thatcher, uno dei grandi leader del secondo novecento. Era figlia di un commerciante ma aveva fatto buoni studi (Grammar School e poi Oxford, Somerville College), era quindi un tipico caso di ascesa sociale basata sul merito. Interessante osservare che Margaret si era laureata, nel 1947, in Chimica a Oxford; una materia tipicamente a scarsa presenza femminile, fino ad allora. Successivamente si dedicò agli studi di legge per diventare avvocato. Nel 1975 fu eletta leader del Partito Conservatore (prima donna a diventarlo; per inciso si noti come in Italia siamo ancora in attesa di vedere una donna leader di un grande partito) e nel 1979 fu eletta primo ministro britannico (prima donna a diventarlo); fu primo ministro dal 1979 al 1990. Un’era che ha rappresentato una vera svolta nella vita del Regno Unito ma anche nella storia dell’occidente nel suo insieme.

La Thatcher fu la protagonista di una rinascita della destra e un personaggio di quelli che hanno diviso l’opinione pubblica.

La Gran Bretagna negli anni ’60 e soprattutto negli anni ’70 aveva sperimentato un lento e grave declino. Il concetto stesso di “declino” per gran parte del novecento è stato legato proprio alla Gran Bretagna, paese che aveva avuto una leadership tecnologica ed economica per un secolo, un vasto impero, un grande peso nella politica internazionale. Negli anni ’60 e ’70 tuttavia si era avuta una perdita forte di competitività. Mentre i paesi dell’Europa continentale (Germania, Italia e Francia) avevano sperimentato un rapido processo di catching up nei confronti degli Stati Uniti, la Gran Bretagna era rimasta indietro e anzi aveva perduto parte rilevante del proprio vantaggio relativo.

Al centro del “male britannico” vi era un forte conflitto distributivo tra capitale e lavoro. Il 5 agosto 1974 il Times titolava: “Nel destino della Gran Bretagna c’è un colpo di Stato militare”, si trattava di un articolo di Lord Chalfont, ministro della Difesa laburista, che prevedeva come sbocco al clima di conflittualità diffusa un putch. Cito questo esempio solo per dare un’idea di quale clima si respirasse in Gran Bretagna (e in buona parte dell’Europa, a metà degli anni ’70).

Il prezzo delle materie prime e delle derrate alimentari era in forte crescita. Il Club di Roma nel 1972 aveva pubblicato un Rapporto sui Limiti della crescita nel quale si preannunciava l’imminente esaurimento del petrolio e delle principali materie prime. I tassi d’inflazione erano a due cifre e in crescita. Il sistema dei cambi fissi che aveva regolato il commercio mondiale per tutto il dopoguerra si era disfatto ad agosto del 1971. La produttività era in calo. Il prodotto per ora lavorata si era dimezzato tra il 1973 e il 1979. Aspro, continuo, profondo era il conflitto nelle fabbriche tra operai e imprenditori. La domanda intanto era caduta anch’essa, con una spirale di caduta della produzione, conseguente caduta dell’occupazione e aumento del conflitto tra sindacato e padronato.

La spesa pubblica, soprattutto per fini di welfare, era cresciuta molto. Dalla fine degli anni ’60, si era avuto un forte aumento delle assunzioni pubbliche: insegnanti, medici, lavoratori sociali. Vasti settori erano di proprietà dello Stato. Il partito laburista aveva ripetutamente prospettato piani di nazionalizzazioni di vasti settori produttivi per contrastare la crisi. Lo spettro dell’iper-inflazione, alimentata dall’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime e dal conflitto tra capitale e lavoro, stava provocando un impoverimento dei ceti medi con lavoro dipendente. Nel 1979 l’inflazione in Gran Breatagna era del 18 per cento (in Italia del 21 per cento).

Sembrava trovare conferma insomma la tesi di Kalecki che nel 1943 aveva scritto un famoso saggio “Political Aspects of Full Employment” nel quale aveva sostenuto che la piena occupazione non fosse compatibile con il capitalismo. Se per troppi anni c’è pieno impiego, il licenziamento cessa di essere una misura che disciplina gli operai e i lavoratori e questo alimenta richieste e aspettative crescenti di redistribuzione del reddito dal profitto ai salari. Ma questo meccanismo finisce per minare le basi del processo di crescita e quindi porta alla crisi sistemica.

Ebbene, in questo quadro di crisi profonda e protratta, la Thatcher ebbe la forza di proporre un disegno di riforma organica dell’economia e della società.

L’idea di base era quella che solo l’impresa e l’iniziativa privata fossere in grado di scongiurare il declino e far tornare a crescere la Gran Bretagna. Bisognava quindi abbandonare le politiche stataliste e restituire all’impresa la centralità smarrita. Allo stesso tempo si trattava di ridurre lo strapotere delle Trade Unions, i sindacati britannici che si erano radicati in molti settori produttivi. La Thatcher quindi avviò un vasto programma di privatizzazioni che fu aperto dalla vendita ai privati nel 1979 della British Petroleum. La Thatcher si fece portatrice di un disegno di riduzione della presenza dello Stato, di lotta all’inflazione come priorità della politica economica e di rilancio dell’iniziativa privata. La Thatcher si conquistò il soprannome di Lady di ferro per la determinazione con la quale si impegnò nella realizzazione del suo programma. Memorabile fu lo scontro con i minatori del Galles e del nord dell’Inghilterra a seguito della decisione governativa di chiudere le miniere. La Thatcher voleva che si creasse in Gran Bretagna un capitalismo popolare, favorì pertanto la vendita delle azioni delle imprese privatizzate ai piccoli risparmiatori.

La soluzione thatcheriana divenne la ricetta della nuova destra: meno spesa pubblica, liberalizzazioni, più concorrenza, privatizzazioni, riduzione del potere dei sindacati, diffusione dell’azionariato, e così via.

Dopo un decennio nel quale il pendolo aveva oscillato verso il lavoro, il socialismo, l’intervento pubblico (gli anni ’70) si ebbero decenni di centralità del mercato e dell’impresa.

La politica thatcheriana diede i suoi frutti dopo circa un decennio. La Gran Bretagna uscì dal declino al quale sembrava condannata.

Ci furono costi ovviamente. L’industria manifatturiera britannica subì un forte dimagrimento. I servizi divennero il cuore dell’economia e la City finanziaria in particolare aumentò il suo peso e il suo ruolo. Parte del sistema di welfare venne smantellato. L’ineguaglianza nella distribuzione del reddito aumentò significativamente. Ma questo in parte era un disegno voluto a compensazione dell’eccesso di egalitarismo vissuto negli anni ’70.

Non si può fare un’analisi completa dell’esperimento thatcheriano in poche righe di un blog. Quindi è chiaro che andrebbero valutati molti più aspetti.

L’elemento interessante è tuttavia legato al fatto che la Gran Bretagna è uno dei pochi casi di un paese in declino che seppe invertire la rotta. La Thatcher – a differenza dei politici italiani – ebbe il coraggio delle proprie azioni. Nel pieno delle contestazioni durissime che la signora di Ferro subì, amava ripetere : “Vado avanti, la storia mi darà ragione”.

L’Italia invece vive da venti anni una situazione nella quale i politici inseguono i sondaggi, promettono favole, sono spaventati dalla più piccola contestazione. Si parla solo di progetti di corto respiro e nessuno osa disegnare un programma di riforme a medio termine.

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