“La vicenda di Cipro ha peggiorato la situazione sui mercati internazionali […] il sospetto è che ci sia un contagio, una perdita di fiducia”. Queste sono le parole dell’ex membro del comitato esecutivo della Bce, Lorenzo Bini Smaghi. Sono parole che riassumono la valutazione emersa in questi giorni, secondo cui il disastro economico cipriota possa incidere sulla già preesistente difficoltà dell’eurozona.

È vero che le due maggiori banche cipriote hanno creato un buco da 17 miliardi (a causa della svalutazione dei titoli di stato greci), ed è vero che questo buco dovrà essere colmato. Ma ciò che bisogna capire è che una cifra del genere a confronto delle proporzioni dell’Europa, risulta essere alquanto irrisoria (per intenderci la manovra finanziaria del 2011 del ministro Tremonti ammontava a 45,5 miliardi). Nell’estate del 2012 a seguito di accese discussioni, i premier europei avallarono la costituzione di un fondo salva stati (esm),con l’intento di contrastare le difficoltà finanziarie dei paesi membri. Perché oggi il fondo, fortemente voluto dall’ex premier italiano Mario Monti e tanto decantato dal governatore Draghi, non è in grado di coprire il danno causato da Cipro?

Per rispondere a questa domanda forse può essere d’aiuto, analizzare  “il rapporto dei paesi congiunti” stilato dal Ministero degli Esteri italiano, riguardante la situazione macroeconomica della Repubblica di Cipro nel secondo semestre 2011, in cui si evince che: “Dalle esplorazioni finora effettuate in un’area della Zona Economica Esclusiva (il “Blocco 12”) sono risultati cospicui giacimenti di gas al confine con Israele”. Quindi il problema di Cipro non è riconducibile a un rischio di bancarotta, poiché l’isola del Mediterraneo può vantare una forte presenza di gas naturali che a loro volta sono anche la causa dell’accanimento a cui è soggetta.

Il trattamento firmato Troika è molto simile a quello già eseguito ai danni della Grecia. La trama è sempre la stessa: esposizione sul mercato finanziario (oggi Cipro colloca i titoli di stato a rendimenti di gran lunga superiori al 10%), speculazione e indebitamento forzoso a tassi di interesse insostenibili, con conseguente privatizzazione dei patrimoni pubblici. Come si può pensare che un’economia di poca consistenza come quella cipriota possa reggere tutto questo?

La verità è che determinate aree dell’eurozona sono messe all’asta, per soddisfare gli appetiti delle potenze più forti. Cipro, Grecia e un giorno forse anche Italia, Spagna e Portogallo sono messe ai saldi, per la gioia di potenze dell’Europa e non, che scelgono i pezzi migliori come se stessero facendo compere, una vera e propria Shopping Europe. 

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