Non c’è nei twitterini di Monti ‘abbattiamo il precariato’. Perché ci vuole il coraggio e la visione di un rilancio dell’economia sociale di mercato, assente in lui e in gran parte della classe politica. Eppure basterebbe guardare al di là del naso liberista con la determinazione dei riformatori, che dissero basta al lavoro infantile e decisero la settimana di 40 ore.

Rassegnazione, distrazione e rimozione circondano il cancro, che corrode le nuove generazioni italiane. I venti-trentenni andrebbero trattati da avanguardia dinamica del Paese. Invece li stanno schiacciando. A 500 mila scadono i contratti di sfruttamento il 31 dicembre. Ma altri tre milioni galleggiano in situazione di instabilità permanente. Politici e media se ne occupano per qualche ora, immersi negli oracoli del premier, nei vaniloqui del predecessore, nelle disquisizioni su ‘agenda’, ‘listone’ o ‘listini’. Poi ripiomba il silenzio. Benché dietro le cifre, esposte algidamente quasi descrivessero lontane tribù, si staglino destini di uomini e donne segnati da infelicità persistente e lunghi anni di duro lavoro sotto la cappa di un’arbitrarietà assoluta. Il lavoro precario trattato come un osso lanciato a cani sempre più famelici e arrendevoli.

Politici e media voltano la testa altrove, ignorando che il fenomeno abnorme del precariato di massa all’italiana – la vergogna dei contratti finti che il governo Monti non ha scalfito – deprime i consumi, impedisce l’acquisto di case, sabota ogni progetto di respiro, colpisce la voglia di creare famiglia e figli. Cioè, non solo ferisce la dignità delle persone, ma danneggia radicalmente l’economia.

Si è perso il concetto che il precariato è un fatto negativo che nulla ha a che fare con la flessibilità. Le soluzioni si possono trovare. Smettere di contare i mesi, in cui il singolo è occupato con un contrattino, e verificare invece il carattere strutturale di una mansione. Una mansione stabile, attiva in un’azienda per oltre 24 mesi, va occupata con un contratto a tempo indeterminato (salva la possibilità di licenziamento nei primi cinque anni o per mutamenti strutturali nell’azienda). 

Per agire sul serio ci vogliono riformatori lungimiranti. Citare De Gasperi non basta. Colpisce il solenne appoggio del Vaticano al premier e alla sua agenda così dimentica della dottrina sociale cristiana. Evidentemente, l’ideologia della ‘diga’ anti-sinistra fa sempre premio sui contenuti. Accadde anche con Berlusconi.

Il Fatto Quotidiano, 28 Dicembre 2012

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